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Professore campano augura la morte alla figlia di Meloni

1 Giu 2025 - Italia

Un docente campano, dipendente del Ministero, ha augurato alla figlia della premier la stessa sorte della vittima di un femminicidio. Il caso è solo l’ennesimo sintomo di un clima velenoso alimentato da una certa sinistra che rifiuta il confronto democratico.

Professore campano augura la morte alla figlia di Meloni

Quando l’odio prende cattedra

Un professore campano, docente di lingua tedesca in un istituto superiore, ha pubblicato un post delirante sui social in cui augura alla figlia della premier Giorgia Meloni “la stessa fine di Martina”, la giovane vittima del brutale femminicidio ad Afragola. Un messaggio che, in qualunque paese civile, dovrebbe suscitare un moto unanime di condanna e disgusto.

Ma siamo in Italia, dove certi ambienti radicalizzati della sinistra ritengono evidentemente legittimo odiare chi governa, anche a costo di toccare i figli. Il docente, che lavora per il Ministero dell’Istruzione, ha firmato uno dei post più vergognosi degli ultimi anni. Una deriva indegna che mostra quanto lontani siano questi personaggi dal concetto stesso di convivenza democratica.

La condanna delle istituzioni (finalmente)

Il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, è intervenuto con decisione, annunciando un’immediata indagine disciplinare. “Una vergogna inaccettabile, un’infamia che non può essere tollerata in chi ha il compito di educare”, ha dichiarato. È la risposta giusta. Ma serve di più: serve un segnale forte da tutta la politica.

Giorgia Meloni, con la compostezza che la contraddistingue, ha denunciato il “clima malato” in cui certi individui si sentono legittimati a colpire anche la sua famiglia. E ha ragione: questo è il volto dell’intolleranza travestita da militanza, una forma di fanatismo che nulla ha a che vedere con la democrazia.

L’odio come unico linguaggio della sinistra estrema

Ciò che inquieta è l’assuefazione. Ogni volta che qualcuno di sinistra o del mondo accademico supera ogni limite nel suo odio verso la destra al governo, scatta un balletto di minimizzazioni, silenzi, giustificazioni. Nessuno — a sinistra — osa davvero dissociarsi. E se lo fa, lo fa in modo timido, condizionato, come se fosse normale invocare la morte di un bambino in nome del dissenso.

È la prova che esiste una parte di questo Paese che rifiuta il confronto, disprezza la dialettica e preferisce il disprezzo all’argomentazione. Il pensiero unico si traveste da “resistenza” ma in realtà non tollera che il popolo abbia scelto una strada diversa da quella imposta per anni da un establishment autoreferenziale.

Un atto vile, figlio di un veleno coltivato per anni

Quel post non è un incidente. È il frutto avvelenato di un ambiente culturale in cui chi vota a destra viene trattato da subumano, in cui si demonizza ogni opinione diversa, in cui si offende, si insulta e si invoca la “rieducazione” di chi non si piega alla narrazione dominante.

Siamo arrivati al punto in cui augurare la morte a un bambino diventa per qualcuno “militanza”. Ed è qui che la destra deve rispondere compatta, non solo chiedendo punizioni esemplari, ma rilanciando con forza il proprio modello di civiltà: rispetto, confronto, libertà. Tutto ciò che l’estremismo rosso oggi odia.

Difendere la civiltà politica, senza arretrare

Questo caso deve insegnare una lezione: non si può arretrare davanti alla barbarie. La battaglia per un’Italia più giusta e democratica passa anche dalla difesa del diritto di esistere e governare senza essere minacciati o demonizzati. La sinistra che tace o minimizza è complice di questo degrado.

E la scuola, che dovrebbe formare coscienze libere, non può essere in mano a chi predica l’odio. La destra, oggi maggioranza nel Paese, deve avere il coraggio di bonificare quei settori dove il pensiero critico è stato sostituito dal fanatismo ideologico.

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Articolo scritto da:
Federico Galli

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