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Il Pentagono non smentisce: piani per Panama e Groenlandia.

13 Giu 2025 - USA

Durante un’audizione alla Camera, il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha evitato di escludere esplicitamente un’azione militare verso Panama e Groenlandia. Il silenzio sulle mire statunitensi riaccende il dibattito sull’espansionismo americano sotto l’amministrazione Trump.

Il Pentagono non smentisce: piani per Panama e Groenlandia.

Il Pentagono prepara tutto, anche l’inimmaginabile

Nel cuore della politica di difesa americana si trova un principio tanto pragmatico quanto ambiguo: essere pronti a qualsiasi eventualità. È questo il messaggio che il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha voluto (o dovuto) trasmettere durante la recente audizione alla Commissione Forze Armate della Camera. A una domanda se esistano piani per invadere Panama e Groenlandia, Hegseth non ha smentito: “Il Pentagono ha piani per ogni tipo di emergenza”.
Quella che poteva sembrare una formula di rito ha invece incendiato il dibattito, soprattutto considerando il retaggio della dottrina Trump, tornato alla Casa Bianca con una visione chiaramente improntata alla supremazia geopolitica globale americana.

Panama e Groenlandia, due scacchiere strategiche

Il riferimento a Panama non è casuale. Il Canale, arteria commerciale tra le più cruciali al mondo, è da tempo sotto la crescente influenza economica cinese, con Pechino che ha investito ingenti capitali nella gestione logistica e portuale. In questo contesto, non è da escludere che Washington stia valutando scenari militari anche solo a scopo deterrente, per riaffermare il proprio ruolo nell’area centroamericana.

La Groenlandia, invece, rappresenta ben più di una suggestione esotica. L’isola – tecnicamente parte del Regno di Danimarca ma dotata di ampia autonomia – è diventata l’epicentro delle attenzioni militari e minerarie di molte potenze. La sua posizione è strategica per il controllo dell’Artico, un teatro destinato a diventare centrale nella competizione tra grandi potenze. Non a caso, Trump già nel 2019 aveva apertamente proposto l’acquisto della Groenlandia, provocando un gelo diplomatico con Copenaghen.

L’ambiguità come strumento diplomatico

Le dichiarazioni di Hegseth – o meglio, le sue non-dichiarazioni – si inseriscono in una strategia comunicativa che fa dell’ambiguità una leva geopolitica. Mantenere un alone di incertezza sulle intenzioni reali degli Stati Uniti può avere effetti moltiplicatori: innescare riflessioni tra gli alleati, mettere pressione ai rivali e testare le reazioni internazionali senza muovere un solo soldato.
Ma non tutti a Washington condividono questo approccio. Il capogruppo democratico Adam Smith ha accusato l’amministrazione Trump di voler inviare al mondo un messaggio di chiusura e isolamento, dimenticando che la forza americana è anche frutto delle sue alleanze. “Non credo che gli americani abbiano votato per invadere la Groenlandia”, ha ironizzato Smith, mettendo in luce le tensioni anche interne al Congresso.

Una nuova fase della dottrina Trump

L’impressione, per chi osserva, è che ci si trovi di fronte a una fase nuova del “Trumpismo strategico”: non più solo slogan sul rilancio industriale o sull’immigrazione, ma anche una proiezione militare globale che risponde a una visione imperiale del ruolo americano. In questo contesto, la sola idea che esistano piani d’invasione per due territori così diversi – e apparentemente fuori dal radar – suggerisce una ridefinizione delle priorità strategiche di Washington.

Pressione, deterrenza o preludio?

Che il Pentagono pianifichi ogni tipo di scenario non è una novità. Ma che lo faccia senza smentite pubbliche, proprio mentre il presidente in carica ha storicamente dimostrato ambizioni espansionistiche, è un segnale politico ben preciso. Panama e Groenlandia potrebbero non essere davvero nel mirino – almeno per ora – ma sono diventate simboli di una postura americana sempre più muscolare, dove la geopolitica si intreccia alla narrazione populista e alla pressione diplomatica globale.
Se davvero gli Stati Uniti stanno tornando a giocare da potenza revisionista e non più solo da garante dell’ordine, allora l’audizione di Hegseth non è solo un episodio da archiviare: è un termometro di quello che ci attende nei prossimi anni.

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Redazione - Il Politico

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