Lo sciopero generale per Gaza
Maurizio Landini e i sindacati di base hanno proclamato uno sciopero generale legato al blocco degli attivisti della flottiglia diretti a Gaza. Una scelta che, al di là delle intenzioni dichiarate di solidarietà internazionale, assume i contorni di un atto fortemente politico e lontano dai temi per cui i sindacati dovrebbero esistere: la difesa del lavoro, dei salari, della dignità dei lavoratori italiani.
Una bandiera ideologica
In questo caso, più che un’azione per tutelare i diritti di chi lavora, lo sciopero appare come una bandiera ideologica agitata a favore di una causa estera e, per di più, rischiosa. La flottiglia per Gaza è già stata criticata da osservatori indipendenti per il carattere ambiguo dell’operazione, più orientata a cercare un incidente diplomatico o militare che a portare concretamente aiuti umanitari. Trasformare questo in motivo di blocco sindacale significa piegare la forza del sindacato a un obiettivo di pura testimonianza politica, non collegato minimamente alle fabbriche, agli stabilimenti, alle buste paga.
Le parole di Carlo Calenda
Su questo punto ha avuto parole chiare Carlo Calenda, che ha denunciato l’ipocrisia dei sindacati: pronti a scendere in piazza per Gaza, ma silenti o debolissimi quando si è trattato di difendere i lavoratori italiani dalle delocalizzazioni di Stellantis (ex Fiat) o dal dramma senza fine dell’ILVA di Taranto. Perché non proclamare scioperi generali quando gli stabilimenti italiani venivano svuotati e trasferiti all’estero? Perché non bloccare il paese quando migliaia di famiglie finivano senza reddito a causa della svendita di pezzi strategici dell’industria nazionale?
Il ruolo politico dei sindacati
La risposta è amara: una parte del sindacato, oggi, sembra più interessata a fare politica estera o a consolidare il proprio ruolo come opposizione sociale di piazza che a svolgere la funzione per cui era nato: difendere il lavoro.
L’Italia deindustrializzata
L’Italia, intanto, vive un processo di deindustrializzazione senza precedenti: chiusure, licenziamenti, marginalizzazione tecnologica. Eppure i grandi scioperi non scoppiano per questo, ma per dare solidarietà a battaglie lontane. Il risultato è duplice: da un lato i lavoratori italiani non vedono più nei sindacati un baluardo dei propri interessi concreti; dall’altro la politica si appropria dello spazio sindacale, trasformando sigle storiche come la CGIL in un soggetto ideologico più che sociale.
Un tradimento della missione originaria
È giusto essere solidali con chi soffre in altre aree del mondo, ma quando ciò avviene sacrificando la missione principale del sindacato – la tutela del lavoro e dell’industria nazionale – si tradisce non solo la storia del movimento operaio, ma anche la fiducia di milioni di iscritti che chiedono protezione contro licenziamenti e salari bassi.
Landini capo politico più che sindacale
Landini, in questo senso, sembra voler assumere sempre di più il ruolo di capo politico della sinistra radicale, piuttosto che di leader sindacale. E questo rischia di allontanare ulteriormente il sindacato dalle fabbriche, avvicinandolo invece al mondo dei cortei ideologici e delle piazze simboliche.
Il vero bisogno dell’Italia
Oggi l’Italia avrebbe bisogno di sindacati forti, capaci di sfidare davvero governo e multinazionali sulle scelte industriali, sul salario minimo, sulle condizioni di lavoro nell’economia digitale. Invece si preferisce un terreno di scontro che non porta pane né diritti a chi lavora. Ed è forse questa la più grande sconfitta del sindacato contemporaneo: aver dimenticato che la prima, vera, unica missione era e resta difendere il lavoro italiano.