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Ultima chiamata a Teheran: Trump offre miliardi dopo i bombardamenti

27 Giu 2025 - Medio Oriente

Gli Stati Uniti aprono alla trattativa con Teheran tra raid aerei e diplomazia, puntando su un programma nucleare civile finanziato dai Paesi del Golfo. Ma l’Iran avverte: “Non siamo più disposti a cedere sotto minaccia”.

Ultima chiamata a Teheran: Trump offre miliardi dopo i bombardamenti

Una trattativa in pieno conflitto: tra bombe e diplomazia

Mentre il mondo assisteva con apprensione al confronto diretto tra Iran e Israele e agli attacchi aerei americani contro i siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan, un canale parallelo, silenzioso ma potenzialmente decisivo, si è mantenuto aperto. Secondo quanto rivelato dalla CNN, l’amministrazione Trump, attraverso l’inviato speciale Steve Witkoff, avrebbe portato avanti colloqui indiretti con la Repubblica Islamica con l’obiettivo di aprire una nuova fase: quella di una denuclearizzazione negoziata, in cambio di fondi e sviluppo civile.

Il meeting chiave si sarebbe svolto venerdì 20 giugno, alla Casa Bianca, alla presenza di emissari dei paesi arabi del Golfo. Proprio questi ultimi avrebbero il compito strategico di fungere da mediatori con Teheran, in un ruolo che rievoca i giochi multipli della diplomazia regionale mediorientale, dove ogni attore ha un’agenda autonoma ma converge su un punto: evitare che l’Iran diventi una potenza nucleare militare.

Un’offerta ad alta intensità geopolitica

La proposta messa in campo da Washington – o meglio, orchestrata da Washington con l’esecuzione a carico dei suoi partner – è di quelle che mirano a cambiare le carte in tavola. In gioco ci sono tra i 20 e i 30 miliardi di dollari, destinati a finanziare un programma nucleare civile alternativo, che possa soppiantare definitivamente gli impianti strategici colpiti dai bombardamenti americani, in particolare il sito di Fordow che il presidente Trump ha definito “annientato”. Il denaro non proverrebbe direttamente dalle casse statunitensi, ma dai paesi del Golfo, interessati a contenere l’espansionismo iraniano e a rafforzare i legami con la nuova amministrazione repubblicana.

Witkoff ha delineato con chiarezza la visione della Casa Bianca: gli Stati Uniti sono disponibili a condurre colloqui, ma senza prendersi carico diretto dell’investimento. Il punto fermo rimane il no a un Iran dotato di capacità belliche nucleari. A completare il quadro degli incentivi, vi sarebbe un ammorbidimento delle sanzioni e lo sblocco di almeno 6 miliardi di dollari iraniani congelati all’estero. Ma tutto ciò dipenderebbe dalla condizione imprescindibile del disarmo dell’arricchimento dell’uranio.

Il contesto strategico e il messaggio deterrente

Il timing dell’offerta è tutt’altro che casuale. Presentarla il giorno prima degli attacchi americani ha una doppia valenza: da un lato lancia un messaggio di apertura diplomatica, dall’altro mette in evidenza la volontà di Trump di trattare da una posizione di forza, rafforzata dalla dimostrazione militare. In termini strategici, si tratta di una mossa che fonde hard power e soft power, nella classica logica americana del “parla dolcemente, ma porta con te un grosso bastone”.

Per gli iraniani, tuttavia, questo approccio viene percepito come un ricatto. Il ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha criticato aspramente la linea americana, affermando che le azioni militari non solo non hanno aiutato a risolvere la questione, ma l’hanno complicata ulteriormente. Secondo Araghchi, prima dell’attuale crisi la strada di una soluzione pacifica sembrava percorribile. Ora, con morti civili e tensioni alle stelle, la fiducia si è ridotta al minimo.

Il dilemma iraniano e la logica di potenza

Teheran si trova così in un dilemma strategico. Accettare l’offerta americana significherebbe rinunciare a uno dei suoi principali strumenti di deterrenza e prestigio geopolitico. Ma rifiutarla espone il Paese a ulteriori attacchi e isolamento economico. È in questo equilibrio instabile che si gioca la prossima fase della crisi. L’Iran sa che ogni concessione verrà letta come un segno di debolezza dai suoi rivali regionali. Ma sa anche che un’escalation incontrollata potrebbe avere effetti devastanti sul piano interno, già gravemente provato dalle sanzioni e dalle tensioni sociali.

Nel frattempo, Donald Trump mantiene il suo stile spavaldo. Ha dichiarato pubblicamente di non essere interessato al raggiungimento dell’accordo, ma in privato, come riporta la CNN, si prepara a nuovi colloqui la prossima settimana. È il gioco dell’ambiguità strategica, dove il vero obiettivo è costringere l’avversario a muoversi per primo, senza mai scoprire completamente le proprie carte.

Uno scenario aperto tra diplomazia e bombardieri

Questa fase di contatto tra Stati Uniti e Iran rappresenta molto più di una semplice trattativa bilaterale. È lo specchio di un nuovo ordine mediorientale in via di ridefinizione, in cui gli Stati Uniti – sotto la guida del nuovo presidente Trump – cercano di ristabilire l’equilibrio perduto con la forza e con l’offerta. Le trattative in corso potrebbero segnare l’inizio di un disarmo controllato o il prologo di una nuova guerra a bassa intensità, giocata tra raid chirurgici e pressioni economiche.

Il tempo stringe. La diplomazia è tornata sul tavolo, ma il rombo dei B-2 resta in sottofondo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Articolo scritto da:
Federico Galli

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