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«Ucciderli tutti»: l’odio che divora Israele e Palestina

3 Lug 2025 - Approfondimenti Politici

Un giovane colono israeliano, intervistato oggi dal Corriere della Sera, invoca la pulizia etnica dei palestinesi. Ma l’odio, in questa guerra infinita, è speculare: radicalismo religioso, vendetta e annientamento guidano entrambi i fronti, in un conflitto incomprensibile per l’Europa forgiata dalla pietas romana e cristiana.

«Ucciderli tutti»: l’odio che divora Israele e Palestina

«Ucciderli tutti»: la deriva genocida dei giovani coloni in Cisgiordania

«Se non se ne vanno con le buone, noi abbiamo il diritto di usare la forza, anche di ucciderli tutti». Parole agghiaccianti, pronunciate da un giovane colono israeliano e riportate oggi dal Corriere della Sera da una collina della Cisgiordania. Un grido di odio puro, dichiarato con la tranquillità di chi è convinto della propria legittimità morale, religiosa e politica. Un proclama che, a rigor di logica, rientra nella definizione più stringente di incitamento al genocidio. Ma questo odio, seppur espresso in forma brutale da una parte, non nasce dal nulla. Esso è specchio e risposta a un altro odio, altrettanto profondo e altrettanto assoluto: quello che Hamas ha urlato con le armi il 7 ottobre 2023, uccidendo civili, donne, bambini, con una ferocia rituale che voleva essere dimostrazione, non vendetta.

Un odio speculare, con mezzi diversi

L’errore più ingenuo — e purtroppo tipicamente europeo — è pensare che ci sia una sola parte intrisa di fanatismo. Non è così. In questa lunga guerra senza fine, l’odio è diventato simmetrico, speculare, corrosivo su entrambi i fronti. Hamas non nasconde il proprio intento: vuole la distruzione di Israele. E molti coloni radicali, come quelli intervistati dal Corriere, non vogliono la convivenza con i palestinesi, ma la loro espulsione fisica, se necessario anche con la forza e con la morte. La differenza tra le due parti, oggi, sta nei mezzi: Hamas usa il terrore, le armi leggere, i tunnel e i razzi; l’estremismo israeliano usa lo Stato, l’esercito, la colonizzazione sistematica e un’espansione che avanza casa dopo casa, checkpoint dopo checkpoint. Ma la radice è comune: il rifiuto assoluto dell’altro.

La distanza culturale dell’Europa: il peso della pietas cristiana

È difficile, quasi impossibile, per l’Europa contemporanea comprendere questa logica. Noi, plasmati da secoli di civiltà cristiana e poi umanista, non riusciamo più a concepire un conflitto che non abbia come orizzonte la riconciliazione, o almeno la coesistenza. Per noi, il concetto di vendetta — «occhio per occhio, dente per dente» — è un frammento arcaico, superato dalla misericordia, dalla compassione, perfino dalla pietas romana. Ma in Israele e nei territori palestinesi non esiste questa categoria spirituale: esiste il sangue, la terra, l’onore, la memoria viva della morte. Per entrambi i popoli, il trauma non è un evento da superare, ma una radice identitaria. Ed è da questa ferita che germoglia l’odio, e da questo odio che nascono parole come quelle pronunciate oggi in Cisgiordania.

Una realtà fuori controllo

Mentre il giovane colono invoca l’uso della forza per “uccidere tutti” i palestinesi, il governo israeliano valuta seriamente l’annessione della Cisgiordania, come chiesto da 15 ministri del Likud e dal presidente della Knesset. Intanto, i raid dell’operazione “Iron Wall” continuano a devastare città come Jenin, Nur Shams e Tulkarem. I coloni si fanno giustizia da soli, agiscono con violenza contro villaggi e case palestinesi, spesso con il silenzioso sostegno delle istituzioni. E Hamas, nel frattempo, prepara nuovi attacchi, nuove cellule, nuove trappole. Tutto si tiene in equilibrio su un filo di odio che non si spezza mai.

Il rischio dell’indifferenza

Per l’opinione pubblica europea, tutto questo appare incomprensibile, se non lontano. Ma rimuovere, relativizzare o ignorare parole come quelle riportate oggi dal Corriere significa lasciar crescere una catastrofe morale. L’Occidente ha rinunciato a comprendere il conflitto israelo-palestinese, ma soprattutto ha perso il coraggio di giudicare, distinguere, intervenire. E così, mentre le diplomazie giocano al rialzo e le potenze si contendono la regia del Medio Oriente, l’odio cresce, si nutre di nuove generazioni, si legittima. E finché esisterà qualcuno — da una parte o dall’altra — pronto a pronunciare la frase «abbiamo il diritto di ucciderli tutti», ogni pace sarà una finzione e ogni tregua solo una pausa tra due abissi.

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Articolo scritto da:
Matteo Di Bello

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