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Trump e Musk: lo scontro

6 Giu 2025 - USA

Divergenze su politica industriale e spesa pubblica innescano un confronto tra due simboli della rinascita americana. Ma l’obiettivo resta comune: difendere la libertà e l’indipendenza degli Stati Uniti.

Trump e Musk: lo scontro

Fine di un’alleanza strategica?

Quella tra Donald J. Trump e Elon Musk non era una semplice collaborazione tra presidente e imprenditore, ma un sodalizio che aveva ispirato milioni di americani: il genio tecnologico e l’uomo forte della politica uniti per restituire agli Stati Uniti potere, centralità industriale e indipendenza energetica.

Ma oggi, dopo mesi di segnali tesi, quella relazione si è incrinata in pubblico. Durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, accanto al cancelliere tedesco Friedrich Merz, Trump ha dichiarato con rammarico:

“Abbiamo avuto un ottimo rapporto, ma sono rimasto deluso.”
Poche ore dopo, Musk ha risposto su X accusando il presidente di ingratitudine e rivendicando un ruolo decisivo nella sua vittoria elettorale. Il tutto condito da una mossa clamorosa: rilanciare un post che invocava l’impeachment del presidente.

Musk alza il livello dello scontro

Ma il Ceo di Tesla e SpaceX è andato oltre. In un crescendo polemico, Musk ha insinuato che il nome di Trump sarebbe coinvolto nei cosiddetti “file Epstein”, legando il presidente alla mancata pubblicazione di alcuni documenti relativi allo scandalo del finanziere pedofilo Jeffrey Epstein. È bene precisare che, nella prima tranche di documenti desecretati dalla Attorney General Pamela Bondi, non emergono elementi sostanzialmente nuovi: si confermano legami noti, tra cui un volo documentato nel 1994 sul jet di Epstein, in compagnia della moglie, della figlia Tiffany e della babysitter. Nulla che giustifichi una campagna diffamatoria.

L’insinuazione appare quindi come un colpo basso, non degno di un imprenditore che si era fatto paladino della libertà d’espressione e della lotta contro la macchina del fango.

Big Beautiful Bill e la guerra sull’economia

Al centro della rottura c’è anche il “Big Beautiful Bill”, il disegno di legge promosso da Trump per rimettere in ordine la spesa pubblica e limitare i sussidi distorsivi. Musk si è schierato contro il provvedimento, lamentando la cancellazione degli incentivi per i veicoli elettrici. Tuttavia, in un sorprendente atto di coerenza, ha ammesso che anche questi tagli sono “necessari” per ridurre una spesa pubblica diventata insostenibile.

“La spesa è fuori controllo. Anche senza incentivi, Tesla continuerà a produrre” ha scritto su X.
Una dichiarazione che mostra quanto la divergenza sia più strategica che ideologica: Trump mira a un’economia protetta e guidata dal potere esecutivo, Musk punta su un’economia slegata dallo Stato, anche a costo di scontrarsi con chi gli ha aperto le porte di Washington.

Contratti, NASA e Dragon: la rappresaglia federale

La tensione è esplosa definitivamente quando Trump ha deciso di rimuovere Musk da ogni incarico informale legato al governo e di riconsiderare i contratti federali in essere con le sue aziende. SpaceX, nel frattempo, ha annunciato lo stop al programma Dragon, fondamentale per la NASA e per le future missioni spaziali.

“Alla luce della cancellazione da parte del Presidente, SpaceX dismetterà la navicella Dragon”, ha confermato Musk.
Una scelta che, se confermata, potrebbe danneggiare l’intero comparto aerospaziale americano, offrendo il fianco alla Cina e ad altri competitor internazionali.

Sondaggio per un nuovo partito: Musk tenta la spallata

Ma la provocazione più pesante è arrivata con il sondaggio pubblicato da Musk su X, in cui ha chiesto agli utenti se non sia il momento di creare un nuovo partito politico. Il risultato? Un plebiscito. Centinaia di migliaia di americani si sono detti favorevoli a una nuova formazione “anti-establishment”, in aperta sfida al Partito Repubblicano.

Un segnale pericoloso, perché rischia di frammentare il fronte conservatore proprio mentre l’America ha più bisogno di compattezza per fermare la deriva progressista.

Bannon all’attacco: “Deportate Musk”

Il più feroce tra i trumpiani, Steve Bannon, non ha usato mezzi termini:

“Musk è un immigrato illegale. Va deportato. E Trump deve cancellare tutti i suoi contratti con il governo.”
Bannon ha anche chiesto di aprire un’indagine sul suo uso di droghe e su presunti contatti con il Pentagono per ottenere briefing riservati sulla Cina.
Parole forti, che mostrano come l’ex stratega voglia chiudere ogni spazio politico a Musk, trasformandolo da alleato strategico a minaccia per la destra americana.

Il rischio vero: dividere l’America conservatrice

Se la sinistra progressista festeggia, convinta che questo scontro possa indebolire Trump, il rischio è reale: la disgregazione di un blocco politico che ha saputo combattere per i valori della sovranità, della libertà d’impresa e della sicurezza.

Musk ha ragione quando denuncia l’eccesso di spesa e l’interferenza dello Stato. Trump ha ragione quando vuole ordine, regole chiare e responsabilità. Ma lo scontro personale non deve diventare il pretesto per distruggere ciò che insieme hanno costruito: una nuova visione dell’America, patriottica, concreta e vincente.

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