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Teheran si prepara a onorare i “martiri” della guerra con Israele

28 Giu 2025 - Medio Oriente

Annunciata per oggi una grande cerimonia nel cuore della capitale iraniana. Tra missili, funerali di Stato e diplomazia armata, l’Iran mostra i muscoli e fissa le sue condizioni per riaprire un dialogo con gli Stati Uniti.

Teheran si prepara a onorare i “martiri” della guerra con Israele

Una cerimonia che è già messaggio geopolitico

Nel centro di Teheran, nella simbolica area tra piazza Enghelab e l’Università, è attesa per oggi una cerimonia imponente per rendere omaggio ai cosiddetti “martiri” dei dodici giorni di guerra tra Iran e Israele. Il governo ha annunciato la partecipazione di alte cariche istituzionali, inclusi rappresentanti del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie e il presidente Masoud Pezeshkian. Secondo l’agenzia Mehr, si attendono “migliaia di persone” per onorare ufficiali militari di alto grado, scienziati e tecnici caduti durante gli attacchi israeliani e le successive rappresaglie iraniane.

La cerimonia, prima ancora di svolgersi, si impone come un atto politico dal forte significato strategico. Non solo perché riunisce il popolo attorno alla memoria dei caduti, ma perché lo fa in un momento in cui la tensione diplomatica con Washington torna a salire. Il contesto è quello di un cessate il fuoco ancora fragile, annunciato da Donald Trump dopo dodici giorni di bombardamenti incrociati, culminati nei raid americani contro i siti nucleari iraniani.

Allerta a Teheran e minaccia latente: l’Iran resta in stato di vigilanza

Nelle ultime ore, la capitale iraniana ha vissuto momenti di forte tensione. Secondo fonti di Iran International, esplosioni sono state udite nella zona di Eslamshahr, a ovest di Teheran. La contraerea sarebbe stata attivata, alimentando il sospetto di nuovi droni o incursioni notturne. Anche questo elemento contribuisce a caricare di tensione la cerimonia odierna, che rischia di trasformarsi in un palcoscenico per ulteriori dichiarazioni bellicose.

L’impressione, tanto tra i media iraniani quanto nell’intelligence occidentale, è che l’Iran voglia utilizzare il momento per ribadire pubblicamente la sua posizione di forza. La celebrazione dei caduti diventa così anche un’occasione per riaffermare l’unità nazionale, la resilienza del sistema e la determinazione del regime a non accettare condizioni imposte da potenze straniere.

Il fronte diplomatico si scalda: Araghchi risponde a Trump

Mentre la piazza si prepara, sui social si consuma un altro fronte di scontro: quello tra il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi e il presidente Donald Trump. In un post su X, Araghchi ha definito “irrispettoso e inaccettabile” il tono usato da Trump nei confronti della Guida Suprema Ali Khamenei. L’ex presidente americano, oggi tornato alla Casa Bianca, aveva rivendicato di aver “salvato” la vita a Khamenei durante l’operazione americana contro i siti nucleari. Per Teheran, un’umiliazione inaccettabile.

La risposta di Araghchi è secca: “Se davvero vuole un accordo, metta da parte i toni offensivi verso il nostro Leader. Il popolo iraniano non accetta minacce”. Il ministro ha rilanciato il messaggio strategico dell’Iran: nessuna trattativa sarà possibile se non ci sarà pieno riconoscimento della sovranità e del prestigio della Repubblica Islamica. “Il popolo iraniano ha dimostrato che Israele ha dovuto ricorrere al suo paparino per evitare la distruzione. Se le illusioni si faranno azione, l’Iran mostrerà la sua forza reale.”

Il nodo nucleare resta irrisolto

Sul tavolo resta la questione centrale: il programma nucleare iraniano. Dopo i raid USA del 21 e 22 giugno, che hanno danneggiato gravemente tre siti strategici – tra cui Fordow e Natanz – Washington ha chiesto l’apertura di nuove ispezioni internazionali. Ma da Teheran non arrivano segnali di disponibilità. Il regime si sente legittimato a non cedere, forte di una resistenza celebrata come vittoriosa e di un’opinione pubblica compatta.

In un momento in cui le potenze occidentali spingono per una de-escalation, l’Iran sembra voler congelare ogni ipotesi di nuovo accordo, almeno fino a quando non cambieranno i toni e le posture americane. Nessuna apertura sarà possibile se non verrà ristabilito un equilibrio narrativo: l’Iran non accetterà mai di trattare da soggetto subordinato.

Funerali come deterrenza: lo scontro prosegue, in forme diverse

La cerimonia di oggi, dunque, non sarà solo un momento di lutto collettivo, ma una prova di forza. Le bandiere, le immagini di Khamenei, i canti religiosi e le parole dei leader politici saranno tutti elementi di una strategia che punta a consolidare l’identità nazionale e, al tempo stesso, lanciare un monito al mondo.

Se la diplomazia vorrà avere una chance, dovrà muoversi sul terreno del rispetto e della reciprocità. In caso contrario, la tregua potrebbe rivelarsi solo una pausa tattica. L’Iran è pronto a trattare, ma solo da pari. E questo principio sarà oggi gridato nelle strade di Teheran, tra lacrime, cori e bandiere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Articolo scritto da:
Marcello De Santis

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