Dietro le cronache quotidiane della guerra in Ucraina si muove un fronte meno visibile ma altrettanto decisivo: quello della finanza. L’Unione Europea, sotto la pressione di Washington e con l’illusione di trovare una scorciatoia politica, sta valutando di usare parte delle riserve russe congelate per finanziare Kiev. È una mossa che, agli occhi di Bruxelles, permetterebbe di mostrare compattezza senza chiedere nuovi sacrifici ai contribuenti europei. Ma dietro questa scelta apparentemente tecnica si nasconde una miccia che rischia di accendere una spirale di ritorsioni e di compromettere la stabilità stessa dell’euro.
Il cuore della questione: le riserve congelate
Il cuore della questione riguarda oltre 300 miliardi di dollari di riserve valutarie russe congelate in Occidente, di cui circa 200 miliardi custoditi da istituti europei, in particolare in Belgio e in Francia. Confiscarli equivarrebbe a trasformare l’euro in una valuta “armata”, poco affidabile per chi cerca stabilità nei mercati internazionali. Perché se un Paese con cui l’Europa è in conflitto può vedersi sottrarre le riserve, domani potrebbe accadere lo stesso a qualunque Stato che non si allinei alle direttive politiche di Bruxelles o Washington. È un messaggio devastante per gli attori emergenti come Cina, India o Brasile, che già oggi cercano alternative all’egemonia finanziaria occidentale e che accelererebbero la dedollarizzazione e la de-euroizzazione delle loro riserve.
La risposta di Mosca: armi economiche pronte all’uso
Mosca, dal canto suo, ha già lasciato intendere come reagirebbe. Non con parole, ma con strumenti concreti. La Russia detiene ancora decine di miliardi di dollari in asset occidentali sul proprio territorio: fabbriche, joint venture, banche, infrastrutture strategiche. Un patrimonio che può essere trasferito a soggetti statali o “amici” in tempi rapidi grazie a nuove leggi in discussione alla Duma. Non sarebbe la prima volta: in passato, le autorità russe hanno già adottato provvedimenti simili, e questa volta il segnale è chiaro. Se Bruxelles colpisce, il Cremlino risponde confiscando.
L’Italia e il rischio più alto
Per l’Italia il rischio è particolarmente alto. Le nostre imprese, dall’energia all’agroalimentare, dalla moda alla meccanica, hanno mantenuto in Russia una presenza significativa anche dopo il 2022. Alcune hanno addirittura aumentato i fatturati, trovando nella domanda interna russa un mercato solido nonostante le sanzioni. Ma proprio questa resilienza oggi le espone maggiormente: in caso di confisca, verrebbero bruciati non solo i profitti futuri, ma anche anni di investimenti e relazioni costruite con fatica. E lo stesso vale per le banche italiane, che hanno ancora crediti e posizioni aperte in Russia, destinati a svanire se il Cremlino decidesse di colpire.
Un’Europa più debole e sempre più subalterna
Il paradosso è evidente. Gli Stati Uniti spingono l’Europa a compiere il passo che loro stessi evitano. Washington sa bene che toccare i fondi russi metterebbe a rischio il primato del dollaro come moneta di riserva globale e quindi si limita a congelare, senza mai confiscare. L’Europa, invece, appare disposta a sacrificare la solidità dell’euro sull’altare dell’atlantismo, confermando una subalternità che non è solo militare, ma ormai anche finanziaria.
Gli scenari di fronte a Bruxelles
Se la partita dovesse degenerare, gli scenari sono tre. Nel migliore dei casi, Bruxelles si limiterà a usare i soli interessi generati dagli asset congelati, riducendo al minimo la rappresaglia russa. Ma se dovesse prevalere la linea più dura, quella che punta a usare direttamente i 200 miliardi bloccati, Mosca reagirebbe con una confisca totale degli asset occidentali in Russia, colpendo in pieno le imprese italiane. Esiste infine l’ipotesi di un compromesso: congelare ancora più beni russi per barattare un utilizzo parziale dei fondi, ma sarebbe un palliativo che non risolve il problema di fondo, ossia la credibilità finanziaria dell’Europa.
L’autolesionismo europeo
Questa guerra silenziosa mette a nudo l’autolesionismo di Bruxelles. Nel tentativo di piegare Mosca con le armi della finanza, l’Unione rischia di scavarsi la fossa sotto i piedi, indebolendo l’euro e danneggiando il proprio tessuto produttivo. Per l’Italia, che ha molto più da perdere di altri Paesi, la priorità dovrebbe essere una sola: difendere le imprese, proteggere gli investimenti, riaffermare una sovranità economica che non può essere sacrificata alle strategie di altri. Perché la vera minaccia non è la Russia: è la miopia di un’Europa che continua a colpire se stessa mentre finge di colpire l’avversario.