Rafah, 27 civili uccisi mentre cercavano aiuti
3 Giu 2025 - Medio Oriente
Mentre si dirigevano verso un centro americano per gli aiuti a Rafah, 27 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane. Se all’inizio la reazione poteva sembrare legittima, oggi la brutalità appare sempre più ingiustificabile.

La tragedia di Rafah: civili in cerca di aiuto falciati dai proiettili
Almeno 27 palestinesi sono stati uccisi e altri 90 feriti nel sud della Striscia di Gaza, nei pressi di un centro per la distribuzione di aiuti umanitari. A sparare, ancora una volta, sono state le forze armate israeliane, che hanno aperto il fuoco su una folla di civili disarmati in coda per ricevere cibo e beni di prima necessità. Una scena che si ripete ormai con drammatica regolarità e che, oggi più che mai, solleva interrogativi non più eludibili sulla condotta dell’IDF.
Non è più una reazione, è un accanimento
Dopo l’attacco brutale del 7 ottobre, l’indignazione internazionale verso Hamas aveva generato una comprensibile solidarietà nei confronti di Israele. Era lecito attendersi una risposta dura, volta a ristabilire la sicurezza e colpire i responsabili. Ma ciò che sta accadendo a Gaza da mesi – e che oggi si è ripetuto a Rafah – non può più essere letto come un atto di autodifesa. È diventato qualcosa di diverso: un accanimento sistematico che colpisce indiscriminatamente la popolazione civile, priva di vie di fuga e di strumenti per sopravvivere.
Aiuti umanitari trasformati in trappole di morte
Il centro di distribuzione dove è avvenuta la strage era sostenuto da fondazioni legate agli Stati Uniti, in teoria sotto garanzia internazionale. Ma nella pratica si è trasformato in una trappola mortale. I testimoni parlano di colpi sparati senza preavviso, in un contesto dove non erano presenti minacce evidenti. Chi cercava farina, è stato raggiunto dai proiettili. Chi portava in braccio un figlio, è caduto insieme a lui. In un simile scenario, è difficile sostenere che si stia ancora parlando di legittima difesa.
Una comunità internazionale pavida e impotente
Le reazioni ufficiali si limitano a generiche “preoccupazioni”, mentre le agenzie ONU denunciano – quasi quotidianamente – violazioni del diritto internazionale umanitario. Ma non basta più. Gaza è allo stremo, e chi oggi giustifica queste azioni con il trauma del 7 ottobre rischia di essere complice. Perché la vendetta non può durare mesi, non può trasformarsi in sterminio e non può giustificare la soppressione di ogni limite morale.
Chi tace oggi, risponderà domani
Israele ha varcato la soglia oltre la quale non si parla più di guerra, ma di barbarie. Se la comunità internazionale continuerà a non alzare la voce, sarà difficile scrollarsi di dosso la colpa di aver voltato le spalle a un popolo assediato, affamato e annientato pezzo dopo pezzo. A Gaza non si muore solo per le bombe: si muore per aver avuto fame, per aver cercato un sacco di farina o una bottiglia d’acqua. E tutto questo, oggi, non è più difendibile.