Quando l’immigrazione fallisce: la Francia sotto assedio
4 Giu 2025 - Approfondimenti Politici
Mentre i media parlano di “festa degenerata”, le immagini mostrano un Paese devastato da bande che non si riconoscono nella Repubblica. Le seconde generazioni incendiano le città: è il fallimento totale del mito dell’integrazione.

Una festa degenerata: ma di chi è la colpa?
La notte della vittoria del Paris Saint-Germain nella finale di Champions League avrebbe dovuto rappresentare un momento storico per il calcio francese. Ma quello che doveva essere un trionfo sportivo si è trasformato in un incubo sociale. Non è il calcio il problema. Il problema è chi approfitta del calcio per portare in strada una rabbia anti-sistema, anti-polizia, anti-Francia.
Decine di città sono state devastate: saccheggi, incendi, aggressioni gratuite, attacchi a forze dell’ordine e a esercizi commerciali. Due morti. Oltre 500 arresti. Le immagini arrivano da Parigi, Lione, Marsiglia, Tolosa, Bordeaux, Roubaix. Una geografia che ricalca con inquietante precisione le zone ad alta densità di seconde e terze generazioni di immigrati, in particolare provenienti dal Maghreb e dall’Africa subsahariana.
Integrazione fallita, scontro inevitabile
Chi ha il coraggio di dire la verità oggi in Francia? La tanto decantata “integrazione” è stata un disastro. Mentre l’élite politica, mediatica e accademica continuava a parlarsi addosso con le solite litanie multiculturaliste, intere periferie si trasformavano in enclave dove lo Stato non esiste, l’identità francese è rigettata, la religione islamica radicalizzata è spesso l’unico punto di riferimento, e la violenza è un linguaggio quotidiano.
I giovani che ieri sera incendiavano auto e spaccavano vetrine non sono “emarginati” o “vittime del razzismo”. Sono spesso cittadini francesi sulla carta, nati in Francia, educati in Francia, cresciuti in un sistema che ha dato loro scuole, sanità, sussidi. Eppure odiano profondamente il Paese che li ha accolti. Perché non lo hanno mai voluto accettare. E soprattutto non lo sentono come loro.
Houellebecq aveva previsto tutto
Nel suo romanzo “Sottomissione”, Michel Houellebecq disegna il ritratto di una Francia che cede lentamente a una forma di islamizzazione strisciante, resa possibile proprio da questa incapacità di difendere la propria identità culturale e spirituale. La borghesia accademica, rappresentata dal protagonista François, si sottomette per debolezza, per calcolo, per vuoto morale.
Quella “sottomissione” non è solo politica o religiosa: è innanzitutto una resa culturale. La stessa resa che vediamo oggi, quando i giornali francesi titubano nel dire chi siano i responsabili dei disordini, quando le autorità parlano di “giovani” senza mai pronunciare la parola “banlieue”, e quando l’unica risposta è militarizzare le strade mentre si lascia intatto il cuore del problema.
La Repubblica di tutti, tranne che dei francesi
Questa non è più la Francia repubblicana, quella della laicità e dell’eguaglianza. È una Francia che ha paura di se stessa, che non osa più difendere le sue radici. È una Francia che si è inchinata alla logica del “vivere insieme” anche quando questo significava vivere con chi rifiuta i suoi valori. E oggi ne paga il prezzo.
I fatti della notte del 31 maggio non sono un’eccezione. Sono il nuovo volto della Francia. E come ha mostrato Houellebecq, il volto di una società che non sa più dire “no” a chi la disprezza, finisce inevitabilmente per sottomettersi.