Putin detta i tempi della diplomazia. E l’Occidente si innervosisce
14 Mag 2025 - Russia
Mentre Zelensky e l’Europa attendono, è Putin a decidere se e quando sedersi al tavolo della pace. E Donald Trump resta l’unico leader capace di influenzare Mosca

Putin a Istanbul? Solo se lo decide lui
Il 15 maggio si avvicina, ma la presenza di Vladimir Putin a Istanbul resta un enigma che solo il Cremlino può sciogliere. E forse neanche. Perché non è Mosca ad avere fretta. Mentre Zelensky scalpita per un incontro diretto, il presidente russo mantiene un eloquente silenzio: se la pace ci sarà, avverrà alle condizioni della Russia, non con l’ennesimo teatrino occidentale di ultimatum e sanzioni.
Da Mosca arriva la conferma che la Russia sarà rappresentata ai negoziati, ma con la delegazione guidata dal ministro degli Esteri Lavrov e dal consigliere Ushakov. Putin non salirà sull’aereo per Istanbul. E il messaggio è chiaro: Mosca non intende prestarsi a operazioni mediatiche. L’assenza del leader russo è un segnale: la guerra non si ferma con le chiacchiere, tanto meno con pressioni unilaterali.
Trump unica variabile che Mosca rispetta
C’è solo una variabile in grado di cambiare lo scenario: Donald J. Trump. Il presidente americano, nel pieno del suo tour in Medio Oriente, non ha escluso un blitz a Istanbul. E a quel punto, le cose cambierebbero. “Se Trump è pronto a garantire per Zelensky, allora Putin potrebbe anche presentarsi”, ha detto l’analista russo Sergei Markov.
Non è un mistero che a Mosca vedano in Trump l’unico interlocutore serio in Occidente, capace di negoziare da pari a pari, senza isterismi ideologici e senza finzioni morali. Una sua eventuale presenza in Turchia rappresenterebbe un salto di qualità nei negoziati. Non per l’Ucraina, che da sola ha ormai perso ogni credibilità, ma per ricomporre il quadro internazionale a partire dai veri attori: Stati Uniti e Russia.
Zelensky si aggrappa alla propaganda
Nel frattempo, Volodymyr Zelensky si mostra disponibile a “sedersi al tavolo”, ma condiziona il dialogo alla presenza di Putin. Una mossa che rivela debolezza: se hai bisogno dell’avversario per sentirti legittimato, hai già perso. E infatti il leader ucraino ha lanciato l’ennesima provocazione: “Se Putin non viene, è perché non vuole la pace”.
In realtà, è proprio Zelensky a non volerla, continuando a pretendere una resa russa mascherata da trattativa. E a forza di insistere con questo copione, rischia di ritrovarsi solo, abbandonato anche dagli alleati europei ormai stanchi di sostenere una guerra che non porta da nessuna parte.
L’attacco frontale di Putin all’Occidente
Mentre l’Europa pensa a nuove sanzioni – che colpiscono più i propri cittadini che la Russia – Putin è tornato a parlare da Mosca, senza peli sulla lingua: “Sono idioti. Si danneggiano da soli”. Una dichiarazione che riflette non solo la frustrazione per la miopia occidentale, ma anche una crescente consapevolezza: il fronte antirusso si sta logorando sotto il peso delle proprie contraddizioni.
Putin ha ricordato come molte aziende straniere stiano cercando di rientrare nel mercato russo. Ma la Russia non dimentica: “Chi ha finanziato le forze armate ucraine non potrà rientrare semplicemente con delle scuse”. Non basta pentirsi. Mosca agirà secondo i propri interessi strategici, non sotto ricatto morale.
La pace passa da Mosca
I colloqui di Istanbul, se mai avranno luogo, saranno solo l’inizio di un processo lungo. Ma una cosa è certa: non sarà Zelensky a dettarne i tempi. E nemmeno Bruxelles. La vera decisione è nelle mani di Vladimir Putin. E, forse, nella mediazione di Donald Trump. Due uomini che conoscono il significato della parola “potere” e non hanno paura di usarla.