150 Visualizzazioni

Pentagono ok ai Tomahawk, ma Trump frena: “Prima l’America”

- USA

Il Pentagono ha autorizzato la fornitura dei missili a lungo raggio Tomahawk all’Ucraina, sostenendo che non inciderà sugli arsenali americani. Ma la decisione finale spetta a Donald Trump, che ha più volte ribadito di non voler sacrificare la sicurezza nazionale per una guerra che non riguarda direttamente gli Stati Uniti.

Pentagono ok ai Tomahawk, ma Trump frena: “Prima l’America”

📋 Riassunto dell'articolo

Il Pentagono approva tecnicamente l’invio dei Tomahawk a Kiev, ma Trump mantiene il potere di veto. L’Ucraina, in difficoltà sul campo, dipende ormai dalle scelte politiche di Washington.

Washington tra calcolo e sovranità

La decisione del Pentagono di dare il via libera tecnico alla fornitura dei missili Tomahawk all’Ucraina segna un passaggio rilevante nella partita geopolitica tra Stati Uniti e Russia. Secondo i vertici militari americani, la consegna non comprometterebbe gli arsenali nazionali, ma resta un atto che richiede la firma politica del presidente Donald Trump.
E qui si apre la vera questione: Trump non è un guerrafondaio, ma un realista. Il suo principio guida è che l’America non debba più farsi trascinare in conflitti che non la riguardano direttamente. La dottrina è chiara: ogni arma concessa all’estero è una risorsa sottratta alla difesa interna. È un ritorno alla priorità nazionale dopo anni di politiche globaliste che hanno svuotato le riserve, alimentato guerre per procura e indebolito il prestigio americano nel mondo.

Il Pentagono e la guerra degli apparati

La valutazione tecnica del Pentagono — favorevole all’invio dei Tomahawk — non va letta come un atto politico neutrale. È il segnale di una frattura ormai evidente tra l’establishment militare e la Casa Bianca trumpiana. Da una parte i generali, convinti che mantenere Kiev in vita militarmente sia vitale per contenere Mosca; dall’altra un presidente che guarda agli equilibri di lungo periodo, non alle convenienze del momento.
Trump non vuole che l’Ucraina diventi un buco nero per la difesa americana, un’altra Kabul o un nuovo Baghdad. Il Pentagono offre copertura tecnica, ma la decisione di premere il grilletto resta politica — e spetta a un comandante in capo che conosce la differenza tra forza e spreco di potenza.

Il fattore ucraino: una guerra ormai persa

La realtà sul terreno è drammatica: Kiev è in difficoltà, logorata e in ritirata su più fronti. L’idea di consegnare missili da crociera a lungo raggio nasce più dalla disperazione strategica che da una reale prospettiva di vittoria. È il tentativo occidentale di prolungare un conflitto ormai giunto alla fase di stallo, spostando il rischio di escalation sulle spalle americane.
Trump lo sa bene: concedere i Tomahawk oggi significherebbe firmare un assegno geopolitico senza garanzie. Gli Stati Uniti non hanno più bisogno di guerre infinite in nome della libertà altrui, ma di consolidare la propria forza industriale, militare e diplomatica. La “guerra per procura” contro Mosca si è rivelata un fallimento strategico che rischia di trascinare l’Occidente in una crisi ancora più profonda.

La strategia trumpiana: potenza controllata

In questa fase storica, la postura di Trump rappresenta l’unico equilibrio possibile: un’America forte ma non sottomessa ai suoi apparati, pronta a difendere i propri confini prima di salvare quelli altrui. È la logica della potenza sobria, che misura le proprie mosse e non si lascia dominare dall’ideologia interventista.
Il “no” ai missili Tomahawk non è un atto di debolezza, ma di lucidità geopolitica. Rifiutare di armare un alleato in declino significa evitare di trasformare l’America in un attore secondario di una guerra che non può vincere. Il Pentagono può suggerire, ma la Casa Bianca decide — e questa volta la Casa Bianca parla la lingua dell’interesse nazionale.

Geopolitica della prudenza

La decisione finale, che spetta a Trump, sarà un test per l’intera politica estera americana. Se rifiuterà di approvare la consegna, invierà al mondo un messaggio chiaro: gli Stati Uniti non sono più il bancomat militare dell’Occidente, ma una potenza sovrana che agisce in base ai propri interessi. Se invece accetterà, lo farà non per spirito di crociata, ma come mossa tattica, utile a chiudere una partita già segnata.
In entrambi i casi, la postura trumpiana è coerente con la sua visione geopolitica: basta guerre al servizio di altri, basta sacrifici sull’altare del mondialismo. L’America torna a essere ciò che è sempre stata quando si riconosce: una repubblica forte, pragmatica e padrona del proprio destino.

Tomahawk: l’arma strategica che può cambiare gli equilibri della guerra

I missili Tomahawk, prodotti dalla Raytheon, rappresentano uno dei sistemi d’attacco a lungo raggio più versatili mai sviluppati dagli Stati Uniti. Con una portata superiore ai 1.600 chilometri e una velocità di crociera subsonica di circa 880 km/h, sono progettati per colpire obiettivi strategici con estrema precisione, anche a grande distanza dalle linee del fronte. Lanciabili da navi e sottomarini, impiegano sistemi di guida multipli — tra cui GPS, navigazione inerziale e mappatura del terreno — che consentono un margine d’errore inferiore ai cinque metri.
Il loro impiego in Ucraina segnerebbe un salto qualitativo notevole rispetto agli attuali armamenti occidentali forniti a Kiev, consentendo di colpire basi logistiche, depositi di munizioni e infrastrutture militari russe ben oltre il raggio dei missili Storm Shadow e SCALP. Tuttavia, proprio questa capacità di proiezione strategica alimenta i timori di escalation: il Tomahawk è una “arma di teatro” pensata per operazioni coordinate di ampia scala, e il suo trasferimento a un esercito in difficoltà come quello ucraino aprirebbe scenari difficili da controllare, con il rischio concreto di colpire in profondità il territorio russo e provocare una risposta diretta di Mosca.

Fonti

CNN – Pentagon clears Tomahawk missiles for Ukraine, leaves decision to Trump
Newsweek – Pentagon green-lights Tomahawks for Ukraine amid nuclear tensions
KTVZ – Pentagon clears transfer, final say with Trump

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Tag: , , , ,
Articolo scritto da:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Per rimanere aggiornato/a iscriviti al nostro canale whatsapp, clicca qui: