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Papa Francesco, l’ultima lezione sulla morte

22 Apr 2025 - Approfondimenti Politici

Nel suo scritto più recente, il Pontefice aveva definito la morte “un nuovo inizio”. Oggi quelle parole risuonano come il suo testamento spirituale.

Papa Francesco, l’ultima lezione sulla morte

“La morte non è la fine, ma l’inizio”: l’ultima lezione di Papa Francesco

Con la scomparsa di Papa Francesco, avvenuta ieri, il mondo perde una delle voci più autentiche, controverse e spiritualmente rivoluzionarie del nostro tempo. Ma nei suoi scritti e nei suoi gesti rimane un’eredità profonda, che parla soprattutto del senso ultimo della vita. Proprio in una delle sue ultime riflessioni pubbliche, scritta pochi mesi fa come prefazione al libro del cardinale Angelo Scola “Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia”, Jorge Mario Bergoglio aveva affidato al mondo la sua personale visione della vecchiaia e della morte. Parole che oggi, lette alla luce della sua partenza, suonano come un testamento spirituale.

Vecchiaia come tempo di grazia, non di scarto

Papa Francesco non ha mai nascosto la propria condizione fisica fragile, affrontandola con realismo e serenità. In quella prefazione, datata 7 febbraio, scriveva con ammirazione dell’onestà con cui il cardinale Scola parlava della propria vecchiaia, arrivata “con un’accelerazione improvvisa”. E aggiungeva: “Sì, non dobbiamo aver paura della vecchiaia, non dobbiamo temere di abbracciare il diventare vecchi, perché la vita è la vita ed edulcorare la realtà significa tradire la verità delle cose”.

Francesco invitava a restituire dignità alla parola “vecchio”, troppo spesso associata al degrado e al peso sociale. Per lui, essere vecchi significava, al contrario, incarnare valori essenziali per la società contemporanea: “esperienza, saggezza, ascolto, lentezza, discernimento”. Una controcultura in grado di resistere all’ideologia dell’efficienza e della giovinezza perpetua.

Morire è iniziare qualcosa di eterno

Ma il passaggio più profondo della riflessione del Pontefice riguarda la morte. Con semplicità e forza, scriveva: “La morte non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa. È un nuovo inizio […] perché vivremo qualcosa che mai abbiamo vissuto pienamente: l’eternità”. In queste parole si riflette tutta la spiritualità di Francesco, ancorata alla certezza pasquale che la morte non ha l’ultima parola.

Nel suo magistero, il Papa ha più volte denunciato la cultura dell’anestesia collettiva che tenta di rimuovere il pensiero della morte, della fragilità, del limite. E invece proprio lì, nel confine ultimo dell’esistenza, egli vedeva la possibilità di un compimento, di un passaggio, di una rinascita. Una convinzione che egli stesso ha testimoniato fino all’ultimo giorno, affrontando la malattia e il declino fisico con dignità e spirito di affidamento.

Una spiritualità dell’attesa e della fiducia

“La vecchiaia vissuta come grazia” era per Francesco la chiave per affrontare anche la morte. Non come resa, ma come pienezza. “Il problema non è diventare vecchi — scriveva — ma come si diventa vecchi”: con gratitudine, con riconoscenza, e con la consapevolezza che anche la lentezza e la fatica possono generare luce.

Oggi, nel silenzio lasciato dalla sua assenza, queste parole risuonano con una potenza nuova. Papa Francesco ha preparato il mondo alla sua partenza senza clamori, con il linguaggio disarmante della verità. E nel farlo, ha ridato senso a due grandi parole dimenticate: vecchiaia e morte.

Un’eredità spirituale che attraversa il tempo

Nella sua umiltà, Francesco ha saputo insegnare che la fede non è fuga, ma immersione nel reale. Che la vecchiaia non è scarto, ma custodia. Che la morte non è fine, ma principio. Con la sua vita e le sue parole ci ha accompagnato fino al limite dell’esistenza, e oggi ci affida, senza paura, il suo saluto più profondo: “Vivremo qualcosa che mai abbiamo vissuto pienamente: l’eternità”.

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