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Orbán sfida la CPI: Ungheria verso il ritiro

5 Apr 2025 - Europa

Nel giorno della visita di Netanyahu, Budapest annuncia l’addio alla Corte Penale Internazionale, accusata di essere uno strumento politico contro Israele e le nazioni sovrane.

Orbán sfida la CPI: Ungheria verso il ritiro

L’Ungheria sfida l’egemonia giuridica della CPI: Orbán si schiera con Netanyahu contro la giustizia “politicizzata” dell’Aia

Nel giorno dell’arrivo a Budapest del premier israeliano Benjamin Netanyahu, il governo ungherese guidato da Viktor Orbán ha annunciato l’intenzione di avviare il ritiro formale dalla Corte Penale Internazionale (CPI), un gesto forte, dal chiaro valore simbolico e geopolitico. Una presa di posizione netta che conferma ancora una volta il ruolo dell’Ungheria come avamposto europeo della sovranità nazionale contro l’arroganza delle istituzioni globali a trazione ideologica.

Una risposta alla politicizzazione della giustizia

La decisione arriva a poche settimane dall’emissione, da parte della stessa Corte, di un controverso mandato di arresto nei confronti di Netanyahu, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità nel contesto del conflitto con Hamas. Accuse che, come ha ricordato lo stesso Orbán, “dimostrano il volto profondamente politico della CPI”, sempre più utilizzata come strumento per colpire i leader dei Paesi che osano resistere al pensiero unico globalista.

L’Ungheria non è sola: già l’amministrazione Trump, lo scorso febbraio, aveva sanzionato la CPI, denunciandone le “azioni illegittime e infondate contro l’America e il suo alleato Israele”. E proprio oggi Netanyahu ha espresso la sua gratitudine a Orbán, lodandone il coraggio: “Avete preso una decisione giusta, morale e fondata sul buon senso”.

Obblighi legali? La sovranità viene prima

Da L’Aia il portavoce della Corte ha subito ammonito Budapest, ricordando che il ritiro non è ancora formalmente in vigore e che l’Ungheria è tuttora obbligata a cooperare. Ma Budapest ha gioco facile nel replicare: pur avendo firmato e ratificato lo Statuto di Roma nel 2001, non ha mai ratificato la Convenzione che le impone espressamente di applicare le decisioni della CPI. Una sottigliezza giuridica? No, una difesa lucida della propria sovranità costituzionale.

L’ipocrisia dell’UE e le crepe nel fronte europeista

L’annuncio ha messo in luce le profonde spaccature all’interno dell’Unione Europea. Spagna, Paesi Bassi e Finlandia si dicono pronti ad arrestare Netanyahu, mentre Italia e Germania – pur tra mille ambiguità – riconoscono il diritto all’immunità diplomatica del premier israeliano. Persino il prossimo cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha assicurato che Netanyahu potrà visitare Berlino “senza rischi”.

Un’ulteriore prova del fatto che la CPI, al pari di altre istituzioni internazionali, ha perso credibilità e legittimità presso le democrazie che non intendono piegarsi ai diktat delle élite giudiziarie transnazionali.

Verso una nuova alleanza sovranista

Con questa mossa, Orbán non solo consolida l’asse con Israele e le forze conservatrici americane guidate da Donald Trump, ma lancia anche un segnale all’Europa: è tempo di ridefinire i rapporti tra Stati sovrani e organizzazioni internazionali, troppo spesso utilizzate come bastoni ideologici contro chi osa dissentire.

Una nuova stagione di autodeterminazione è possibile, ma richiede coraggio politico. Orbán lo sta dimostrando. Chi sarà il prossimo?

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