Morrone demolisce il “circolino” del cinema: e le élite progressiste lo massacrano
26 Mag 2025 - Approfondimenti Politici
Ha osato criticare il sistema: ora Michele Morrone viene attaccato da attori, conduttori e intellettuali allineati. Ma ha detto la verità: il cinema italiano è un circolo chiuso finanziato con soldi pubblici.

Morrone rompe il silenzio su un sistema marcio
Michele Morrone ha avuto il coraggio di fare ciò che pochi osano: puntare il dito contro il sistema autoreferenziale del cinema italiano. Lo ha fatto in un’intervista a Belve, denunciando un ambiente ideologizzato, chiuso, ipocrita e soffocante. Un ambiente dove, se non sei “di sinistra”, sei un appestato. Dove l’apparenza e la militanza contano più del merito, e dove per essere considerato un “vero attore” bisogna indossare scarpe Clark, sembrare trasandati e, ovviamente, pensarla col cuore rigorosamente a sinistra.
Il cinema italiano, ha detto Morrone, “se la canta e se la suona da solo, pieno zeppo di pregiudizi nei confronti dei diversi”, riferendosi non solo alle minoranze, ma a chiunque osi dissentire da un pensiero unico dominante. E oggi che ha osato parlare, viene crocifisso.
Un mondo finanziato coi soldi pubblici, ma che premia solo gli amici
L’attacco a Morrone non è casuale. L’attore ha toccato un nervo scoperto: il legame tra cinema progressista e denaro pubblico. Ogni anno milioni di euro delle tasse dei cittadini vengono dirottati su film che al botteghino fanno incassi da proiezione parrocchiale, ma che servono a mantenere in vita un sistema. Film visti da poche centinaia di persone, pieni di messaggi ideologici e recitati da attori che si premiano a vicenda nei salotti della sinistra culturale.
E quando arriva qualcuno da fuori, che ha avuto successo internazionale senza passare dalle loro accademie, senza chiedere il permesso e – peggio ancora – osa parlare, allora parte la caccia alle streghe. Lo si deride, lo si umilia, lo si delegittima.
L’ipocrisia feroce delle élite culturali
Victoria Cabello, nel salotto buono della TV, lo ha definito un “cane” come attore. Una battuta? Forse. Ma nessuno fa battute così feroci se non c’è dietro un preciso intento distruttivo. Iago Garcia, altro volto del circuito televisivo progressista, lo ha attaccato per non essere “formato”, come se la recitazione fosse appannaggio esclusivo dei diplomati alla Silvio D’Amico.
È lo stesso atteggiamento che Morrone ha denunciato: “se non hai studiato lì, non sei nessuno”. Come se il talento dovesse passare per forza attraverso le scuole certificate del potere culturale. E soprattutto, come se chi non aderisce all’estetica del “povero ma colto”, all’impegno sociale da copione, alla morale di sinistra, non potesse fare cinema.
Il peccato imperdonabile: non essere allineato
Il peccato di Morrone? Non quello di essere un attore modesto o meno brillante. Il suo vero errore è stato rompere il patto del silenzio, sfidare l’élite e denunciare il doppiopesismo, l’ipocrisia, il conformismo del cinema italiano. Un cinema che parla solo a se stesso, che si autocompiace, che gira film per le rassegne e per le cene di gala, e che si regge solo grazie a fondi pubblici distribuiti ad amici e conoscenti.
E ora che Morrone lo ha detto pubblicamente, il sistema reagisce con violenza, con livore, con la tipica arroganza di chi è stato colto con le mani nel sacco. Un sistema che, per mantenere se stesso, deve distruggere chiunque osi alzare la testa. È la solita storia dell’Italia che non premia il merito, ma la fedeltà ideologica.