Milano non è più dei milanesi
18 Giu 2025 - Italia
Anni di governo progressista hanno trasformato la città operaia in una metropoli elitaria: affitti fuori controllo, gentrificazione dilagante e ceto medio costretto all’esilio nell’hinterland.

Una città sempre meno popolare
Milano è oggi l’emblema di una trasformazione sociale che stride con la sua storia popolare e operosa. Da città del lavoro, dei cortili e delle case di ringhiera, si è trasformata in una metropoli elitaria e selettiva, dove affittare un bilocale è diventato un privilegio per pochi. Il paradosso? Questo è avvenuto sotto una lunga e ininterrotta amministrazione di centrosinistra, che ha fatto della retorica dell’inclusione e della sostenibilità il proprio vessillo, mentre nei fatti ha promosso un modello di città vetrina, disegnata su misura per ricchi investitori e turisti di lusso.
Il caro-affitti come simbolo della deriva elitaria
Oggi a Milano una stanza singola può costare tra i 700 e gli 850 euro al mese. Un bilocale in zone semicentrali supera facilmente i 1.500 euro. I dati parlano chiaro: per migliaia di giovani, studenti, precari e famiglie con reddito medio, abitare in città è diventato impossibile. Il principio per cui l’affitto non dovrebbe superare il 30% del reddito è ormai un ricordo lontano.
Il fenomeno non è frutto del caso. Le politiche urbanistiche degli ultimi anni hanno privilegiato la rendita immobiliare, favorendo la conversione di interi quartieri in zone “riqualificate” solo per chi può permetterselo: Porta Nuova, CityLife, Cascina Merlata, ex Scalo Farini. Quartieri popolari come Isola o Nolo sono stati travolti dalla gentrificazione, mentre le periferie vere, da Baggio a Corvetto, sono abbandonate a loro stesse o ghettizzate.
La retorica progressista e la realtà sociale
Dietro ai grandi eventi internazionali, alle settimane della moda e alle fiere del design si cela una città dove chi lavora con stipendi normali non riesce più a vivere. Il ceto medio è spinto fuori: Monza, Pavia, Lodi e l’hinterland diventano dormitori obbligati. Milano si svuota dei milanesi e si riempie di expat, speculatori, e investitori stranieri.
È questo il risultato di anni di narrazione sinistra, che ha confuso la modernità con l’esclusività, e la sostenibilità con l’aumento del costo della vita. Tutto è “green” e “smart”, ma per chi può permetterselo. Gli altri? Sono invitati gentilmente a fare spazio.
L’assenza di politiche sociali concrete
L’offerta di case popolari non solo non è aumentata, ma è stata spesso mal gestita o lasciata al degrado. I fondi pubblici sono stati destinati a operazioni di “valorizzazione” immobiliare, e lo strumento dell’edilizia convenzionata è stato usato per aumentare gli standard, non per calmierare i prezzi. Nessuna misura seria è stata presa per contenere gli affitti brevi, che ormai hanno invaso il centro e portato a una desertificazione residenziale.
Milano è diventata un modello di urbanizzazione regressiva, dove l’accesso alla casa – diritto costituzionale – è diventato un prodotto di lusso, e la diseguaglianza viene mascherata con l’estetica della modernità.
Una città sottratta ai suoi abitanti
Milano non è più dei milanesi. È la città della sinistra che parla di diritti ma li nega nei fatti; che promuove eventi culturali mentre svuota le case popolari; che celebra l’inclusione ma esclude chi non può spendere 1.800 euro al mese per un appartamento da 50 metri quadri.
È forse ora che qualcuno abbia il coraggio di dirlo: il fallimento del modello Sala non è solo urbanistico o economico, è soprattutto culturale. E Milano ne sta pagando il prezzo.