Meno armi a Kiev, più pace? Mosca rilancia, Kiev si allarma
3 Lug 2025 - Europa
Lo stop USA ad alcune forniture belliche scatena la reazione del Cremlino e la preoccupazione di Zelensky. Mosca parla di svolta, mentre l’Ucraina teme una resa mascherata.

Washington frena sulle armi, il Cremlino applaude
Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha accolto con favore la notizia del ridimensionamento delle forniture militari statunitensi a Kiev, affermando che “meno armi fornite all’Ucraina significano una più rapida conclusione dell’operazione militare speciale”. La reazione russa, come spesso accade, è tanto secca quanto significativa: Mosca interpreta ogni esitazione occidentale come un segnale di cedimento strategico e di crescente consapevolezza dell’inutilità di prolungare un conflitto che, sul terreno, vede le forze russe rafforzare progressivamente le loro posizioni.
L’affermazione di Peskov non è solo una constatazione, ma una chiara pressione diplomatica. Il Cremlino manda un messaggio all’Occidente: ogni rallentamento negli aiuti militari rappresenta per Mosca non solo una vittoria tattica, ma un segnale geopolitico di disimpegno, forse persino l’anticamera di un negoziato.
La linea ucraina: “È così che si alimenta l’aggressione”
Di tono opposto la reazione da Kiev. L’Ucraina ha immediatamente convocato l’incaricato d’affari statunitense per ottenere chiarimenti, mentre il consigliere di Zelensky, Dmytro Lytvyne, ha precisato che “la comunicazione con la parte americana continua a tutti i livelli”. In altre parole: l’esecutivo ucraino è colto di sorpresa e vuole vederci chiaro, temendo un riposizionamento della strategia USA sotto la guida del presidente Donald Trump.
Il ministero della Difesa ucraino ha lamentato la totale assenza di preavviso, dichiarando che “non è stata ricevuta alcuna notifica ufficiale in merito alla sospensione o alla revisione dei programmi di forniture per la concordata assistenza alla difesa”. Ma è il tono della nota del ministero degli Esteri ad accendere l’allarme: “Ogni rinvio o ritardo nel sostegno militare incoraggia l’aggressore a proseguire la guerra”. Una frase che sa di accusa, ma anche di paura: Kiev teme di essere lasciata sola.
Trump punta su Israele, non su Kiev
La scelta americana non è priva di logica geopolitica. Il presidente Trump, fin dalla sua rielezione, ha impostato una linea chiara: meno coinvolgimento diretto nei conflitti lontani dagli interessi vitali americani e un sostegno prioritario agli alleati storici nel Medio Oriente. In questo contesto, è evidente come Israele rappresenti oggi per Washington una priorità assoluta rispetto all’Ucraina.
Le risorse, anche militari, non sono infinite. E se il nuovo equilibrio globale impone una selezione strategica, Trump ha già fatto la sua scelta: sostenere Tel Aviv, in un momento di massima tensione regionale, piuttosto che continuare a rifornire un’Ucraina ormai logorata da anni di guerra senza sbocchi. È un segnale forte, che ribalta completamente l’impostazione ideologica dell’amministrazione Biden, e apre la strada a un possibile riequilibrio tra Occidente e Russia su nuove basi negoziali.
Una nuova fase nel conflitto?
Il nodo centrale resta lo stesso: continuare a sostenere militarmente l’Ucraina oppure imboccare la via del negoziato costringendo Kiev a fare concessioni? Mosca, con il consueto linguaggio pragmatico, suggerisce che la seconda strada è quella giusta. Kiev, invece, avverte che ridurre la pressione su Putin significa solo allungare l’agonia.
Quello che sta avvenendo non è solo una questione militare, ma una svolta geopolitica. Il conflitto in Ucraina potrebbe essere entrato in una fase in cui la guerra non si gioca solo con i missili, ma con i silenzi diplomatici, i rallentamenti logistici e le omissioni strategiche.
In altre parole: meno armi potrebbero significare meno guerra, ma anche meno Ucraina.