Memorandum russo per la pace: proposta concreta o mossa tattica?
3 Giu 2025 - Europa
Mosca presenta condizioni per il cessate il fuoco, ma impone limiti pesanti alla sovranità ucraina. Kiev rifiuta e rilancia: l’Occidente resta spettatore di un conflitto che sembra essere senza via d’uscita.

Una proposta per la pace o una mossa strategica?
Il 2 giugno 2025, la Russia ha formalmente presentato un nuovo memorandum nel quadro dei colloqui di Istanbul, proponendo una via diplomatica per fermare il conflitto con l’Ucraina. Si tratta di un documento che, al netto delle tensioni, merita un’analisi meno ideologica e più pragmatica: Mosca chiede il ritiro delle truppe ucraine dalle regioni contese (Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia), la fine della mobilitazione generale, lo stop alle forniture di armi occidentali e la fine della presenza militare straniera sul territorio ucraino.
Siamo di fronte a richieste dure? Sì. Ma è altrettanto vero che rappresentano il tentativo russo di congelare la guerra su linee di controllo già esistenti, evitando un’escalation più ampia che potrebbe coinvolgere direttamente la NATO. Il memorandum prevede anche il ritorno a un processo politico in Ucraina: fine della legge marziale, nuove elezioni entro 100 giorni, riconoscimento della lingua russa come ufficiale.
Reazione prevedibile da Kiev: chiusura totale
Il presidente Zelensky, fedele alla sua linea massimalista e sostenuto dalla sinistra progressista internazionale, ha respinto in blocco il documento, parlando di “capitololazione mascherata”. È l’ennesimo segnale che la leadership ucraina non intende trattare su basi realistiche, ma punta ancora a una “vittoria totale” sponsorizzata da Parigi, Berlino e Bruxelles, anche a costo di prolungare la sofferenza della popolazione ucraina.
Va detto che, sul fronte occidentale, cresce però il malumore. La guerra si trascina da oltre due anni, con costi umani e materiali altissimi. Gli Stati Uniti, sotto la nuova amministrazione Trump, iniziano a rivedere le proprie priorità strategiche, mentre in Europa – soprattutto tra le destre – si moltiplicano le voci favorevoli a una soluzione diplomatica.
Il memorandum come sfida alla NATO e al globalismo armato
La portata geopolitica del memorandum è chiara: la Russia chiede che l’Ucraina diventi uno Stato neutrale, fuori dalla NATO e privo di installazioni militari occidentali. È una posizione coerente con quanto sostenuto da Vladimir Putin fin dall’inizio del conflitto e, se guardata con lucidità, tutt’altro che irragionevole. L’ingresso di Kiev nella NATO non è solo un affronto alla sicurezza russa, ma anche un pericoloso azzardo per l’equilibrio mondiale.
Chi insiste sull’allargamento dell’Alleanza Atlantica fino ai confini della Russia agisce per conto di un progetto ideologico, più che strategico: il globalismo bellicista che vuole ridisegnare le sfere d’influenza a proprio piacimento, anche a costo di una guerra per procura.
Un’opportunità per la diplomazia vera
La proposta russa, con tutte le sue rigidità, rappresenta comunque una base concreta per il dialogo. L’alternativa è una guerra senza fine, sostenuta a colpi di miliardi dai contribuenti occidentali, mentre l’economia europea soffre e il fronte interno si spacca.
L’Occidente conservatore – quello che crede ancora nella sovranità degli Stati, nella pace fondata sull’equilibrio e non sull’egemonia ideologica – dovrebbe cogliere questa occasione per imporre un cambio di rotta. È tempo di archiviare l’utopia interventista e tornare a una realpolitik che metta al centro l’interesse dei popoli, non quello dei mercati bellici.
Fermare la guerra, non alimentarla
La pace non può esistere senza compromessi. E oggi il principale ostacolo alla pace è proprio l’irrigidimento ideologico di Kiev e dei suoi sponsor. Il memorandum di Mosca non è perfetto, ma è un segnale da cogliere. Ignorarlo significa scegliere la guerra come condizione permanente.
Serve coraggio, soprattutto politico, per dire che la priorità non è “vincere la guerra” ma evitare la catastrofe. E chi lo dice oggi, con razionalità e visione, non è la sinistra globalista, ma quella destra che crede ancora nella forza della diplomazia.