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Meloni tra galanteria e paternalismo

- Medio Oriente

Al vertice egiziano per la pace su Gaza, Giorgia Meloni si trova al centro di due episodi che rivelano una diplomazia ancora intrisa di paternalismo: Erdoğan la invita a “smettere di fumare”, Trump la elogia per la sua bellezza. Ma dietro la leggerezza si nasconde un problema simbolico: l’Italia trattata come comparsa, non protagonista.

Meloni tra galanteria e paternalismo

📋 Riassunto dell'articolo

Al vertice di Sharm el-Sheikh, Giorgia Meloni è stata protagonista di due episodi: Erdoğan la invita “a smettere di fumare”, Trump la elogia per la bellezza. Dietro la leggerezza, si cela un atteggiamento che sminuisce il ruolo dell’Italia, riducendo la premier a figura decorativa. Un caso emblematico di paternalismo e sessismo diplomatico.

Una premier nel mirino della “leggerezza” maschile

È bastato un vertice a Sharm el-Sheikh per rivelare, ancora una volta, quanto certi atteggiamenti siano duri a morire anche ai massimi livelli della diplomazia mondiale. Giorgia Meloni, capo di governo di una delle maggiori potenze europee, è stata al centro di due episodi che — dietro l’apparente bonomia — raccontano molto più di quanto sembri sul modo in cui viene percepita l’Italia e, ancor prima, il suo stesso ruolo politico.
Da un lato Recep Tayyip Erdoğan, presidente turco, che la saluta con un sorriso e una frase che sembra di circostanza: «Stai bene, ma dobbiamo trovarti un modo per smettere di fumare». Dall’altro Donald Trump, presidente americano, che in pubblico la definisce «una bellissima giovane donna» e, con la sua consueta ironia, aggiunge: «Spero non ti dispiaccia se lo dico».
Due battute, due stili diversi — ma entrambe, in fondo, appartenenti allo stesso copione: quello che trasforma una leader politica in un personaggio, una premier in una figura da commentare.

Il paternalismo travestito da premura

Erdoğan, con il suo tono da padre bonario, dà voce a un vecchio riflesso del potere orientale: trattare la donna di governo come una figlia da proteggere o, peggio, da correggere. È una forma di paternalismo antico, che suona stonata in un contesto in cui si discuteva di guerra e diplomazia.
Quel «ti vedo bene, ma devi smettere di fumare» non è una semplice frase di cortesia. È un messaggio simbolico: io mi prendo cura di te, dunque ho voce sul tuo comportamento. È il gesto di chi, anche inconsciamente, si sente in posizione di superiorità morale.
In un vertice internazionale, dove ogni parola pesa come un comunicato ufficiale, quella leggerezza diventa un piccolo scarto di rispetto. Meloni, da parte sua, ha reagito con eleganza, senza trasformare l’episodio in un caso, ma il punto resta: se al posto suo ci fosse stato un uomo, qualcuno avrebbe osato una battuta simile? Difficile pensarlo.

L’omaggio estetico che diventa sminuente

Poi c’è Trump. Il tycoon è fatto così, diretto, teatrale, capace di passare in un attimo dalla geopolitica all’aneddoto. Ma anche la sua “galanteria” pubblica lascia un retrogusto amaro.
Dire a una premier «sei bellissima» non è un’offesa, ma dentro una sala in cui si decide di guerra e di pace, è un cambio di registro pericoloso: si sposta l’attenzione dal merito alla forma, dal potere alla figura. In un certo senso, Meloni viene resa protagonista di un atto di intrattenimento, non di un confronto politico.
Quando Trump chiede: «Non ti dispiace, vero?», la scena è già compiuta: la premier è costretta a sorridere, perché non rispondere significherebbe passare per rigida, ma accettare significa, in fondo, giocare secondo regole scritte da altri.

L’Italia ridotta a cornice

La verità è che questi episodi non riguardano solo Giorgia Meloni. Riguardano l’immagine dell’Italia nel mondo.
Ogni volta che una leader italiana viene trattata con leggerezza, è il Paese intero a sembrare “decorativo” più che decisionale. Non è un caso se l’attenzione dei media internazionali si è concentrata più sul sorriso della premier che sulle sue posizioni riguardo al cessate il fuoco o alla ricostruzione di Gaza.
È il paradosso del potere femminile: quando non è temuto, viene ammorbidito; quando è rispettato, si tenta di ricondurlo all’umano, al quotidiano, alla fragilità. Ma in politica internazionale, quel tipo di umanità spesso serve solo a disinnescare la forza di chi parla.

Un problema simbolico, non di carattere

Meloni ha mostrato in più di un’occasione di saper reggere la scena e di non lasciarsi intimorire. La sua calma di fronte a quelle battute non è debolezza, ma lucidità. Tuttavia, il vero nodo non è la sua reazione: è il messaggio che passa, l’immagine che resta.
Quando i leader maschi, più anziani o più potenti, si permettono confidenze, battute o complimenti pubblici, stanno dettando il tono della conversazione. E in quel tono, l’Italia — e con essa la sua premier — viene collocata in una posizione subordinata, anche se involontariamente.
Non è una questione di “femminismo”, ma di peso politico. L’Europa non può permettersi che una delle sue principali figure venga ridotta a oggetto di simpatia, o a destinataria di premure. L’Italia, nel contesto di un Medio Oriente in fiamme, merita di essere ascoltata, non intrattenuta.

Una lezione da portare a Roma

La scena di Sharm el-Sheikh resterà nei telegiornali per la battuta di Erdoğan e la frase di Trump, non per le parole di Meloni. Ed è questo, forse, il dato più amaro.
In un mondo che corre veloce, dove l’immagine vale più della sostanza, basta un sorriso ripreso da una telecamera per ribaltare mesi di diplomazia. Ma chi conosce Giorgia Meloni sa che dietro quel sorriso si cela tutt’altro che arrendevolezza.
Piuttosto, una consapevolezza: l’Italia non è un Paese da prendere sotto braccio. È una nazione che, nel Mediterraneo come in Europa, vuole contare — e che dovrà imparare a pretendere rispetto non solo nei tavoli di trattativa, ma anche nei piccoli gesti, nelle parole scelte, nei toni apparentemente innocui.

Fonti

Repubblica
Open
NDTV
Times of India
Economic Times

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