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Mélenchon, il tribuno della sinistra che sogna una rivoluzione “cittadina”

13 Mag 2025 - Europa

L’ex candidato all’Eliseo lancia il suo manifesto anche in Italia: no alla NATO, no al capitalismo, sì alla “VI Repubblica”. Ma dietro il linguaggio popolare, il rischio di una visione ideologica che disintegra identità e valori comuni.

Mélenchon, il tribuno della sinistra che sogna una rivoluzione “cittadina”

Una lunga intervista-manifesto

Nel suo colloquio con il Corriere della Sera, Jean-Luc Mélenchon offre al pubblico italiano una sintesi articolata della sua visione politica, in bilico tra eredità rivoluzionaria, retorica anticapitalista e furore iconoclasta. L’occasione è l’uscita del suo libro Ribellatevi! anche nelle librerie italiane, ma ciò che emerge è più di un testo: è un progetto politico totalizzante che, pur proclamandosi democratico e popolare, porta con sé numerosi elementi di rottura radicale.

Mélenchon si presenta come il campione dell’“insoumission”, della disobbedienza civile e intellettuale, una figura che si oppone tanto alla destra patriottica di Marine Le Pen quanto al centrismo liberal di Emmanuel Macron. Eppure, nella sua narrazione, il “popolo” appare come un concetto fluido, quasi astratto, modellato su una visione puramente economica e sociologica, priva di radicamento culturale e storico.

Popolo contro oligarchia: la nuova dicotomia

Mélenchon rifiuta le categorie classiche della lotta di classe marxista, per adottarne una nuova: oligarchia contro popolo. Una dialettica affascinante per molti, che tuttavia pecca di semplificazione. In questa visione, lo Stato viene dipinto come l’unico strumento possibile per correggere i torti del mercato, con un programma che propone una “radicalità concreta” basata sul controllo collettivo dei servizi e dei beni comuni. Nulla di nuovo, verrebbe da dire, se non fosse che sotto la patina del pragmatismo si nasconde un dirigismo comunista esasperato che rischia di soffocare ogni forma di libertà personale e imprenditoriale.

Identità negate e visione universalista

Nel suo attacco a Marine Le Pen, Mélenchon rigetta ogni concetto di radicamento identitario, liquidandolo come una “costruzione ideologica” e accusando il Rassemblement National di voler dividere il popolo invece di unirlo. Ma è proprio qui che emerge il nodo irrisolto della sua posizione: l’identità, per Mélenchon, è qualcosa di sospetto, qualcosa da superare in nome di un’ibridazione permanente – quella “creolizzazione” che egli esalta come destino inevitabile della Francia. Una visione che ignora del tutto il diritto dei popoli a conservare le proprie tradizioni, la propria lingua, il proprio ethos culturale.

In questo, la destra patriottica francese e italiana rivendica un approccio diametralmente opposto: non chiusura, ma radicamento; non esclusione, ma consapevolezza di sé. Un’identità forte è, infatti, la premessa per un dialogo autentico con l’altro. Senza identità, non c’è comunità, ma solo massa, che sembra essere quella che Mélenchon vorrebbe realizzare.

Sovranità e rivoluzione: convergenze e divergenze

Mélenchon condivide, almeno in superficie, alcuni punti cari anche alla destra: la critica alla NATO, la denuncia dell’imperialismo americano, il rifiuto del capitalismo finanziario globalizzato. Ma laddove Marine Le Pen o Giorgia Meloni propongono un ritorno all’interesse nazionale e alla sovranità come strumenti per difendere il popolo reale, Mélenchon sogna una rivoluzione permanente che dissolva l’attuale ordine costituzionale per instaurare una nuova repubblica “partecipativa”.

Lui stesso lo dice: «Sarò l’ultimo presidente della V Repubblica autoritaria». E promette una VI Repubblica in cui il presidente potrà essere revocato tramite referendum, come in certe esperienze latinoamericane. Non è difficile intuire il pericolo: l’instabilità istituzionale e la confusione tra democrazia diretta e populismo assembleare rischiano di rendere ingovernabile un Paese già provato da tensioni sociali ed economiche.

Gaza, antisemitismo e accuse strumentali

Mélenchon dedica ampio spazio alla questione di Gaza e alle accuse di antisemitismo rivolte a lui e al suo movimento. In questo, difende con coerenza il diritto internazionale e denuncia le derive razziste di chi equipara ogni critica a Israele all’odio verso gli ebrei. È un punto sul quale, pur venendo da visioni opposte, anche chi scrive non può che riconoscere l’onestà intellettuale dell’intervistato. Il diritto di esprimere dissenso verso un governo – anche quello israeliano – deve essere tutelato, senza sfociare né in antisemitismo né in strumentalizzazioni politiche.

Una visione globale alternativa, ma utopica

Nel finale dell’intervista, Mélenchon riafferma il suo internazionalismo: vuole un’Europa latina svincolata dalla Germania, una diplomazia “altermondialista”, la fine dell’era NATO, e persino una nuova economia fondata sulla pace. Ma non fornisce mai i dettagli operativi per attuare tutto ciò. Siamo di fronte a un’utopia, forse affascinante per alcuni, ma pericolosa se mai fosse messa in pratica in un mondo dominato da potenze reali, economie interdipendenti e sfide geopolitiche concrete.

Un interlocutore da rispettare, ma da contestare

Mélenchon è un politico colto, retoricamente abile, fortemente radicato in una visione alternativa del mondo. Ma è anche il portavoce di un progetto che, in nome della “rivoluzione cittadina”, mira a demolire pilastri fondamentali della civiltà occidentale: la famiglia, la sovranità, l’identità, l’economia di mercato, l’ordine giuridico. Chi difende la libertà e la tradizione europea – che non sono parole vuote, ma conquiste storiche – ha il dovere di controbattere.

Eppure, in un’epoca di censura e pensiero unico, è giusto ascoltare anche chi la pensa all’opposto. Non per condividere, ma per capire. Perché difendere la libertà di espressione – anche di un Mélenchon – è il primo dovere di chi ama davvero la democrazia.

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