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Medio Oriente senza Mosca

17 Giu 2025 - Medio Oriente

Con la caduta del regime siriano e l'attacco senza precedenti dell'aviazione israeliana contro l'Iran, la Russia appare oggi spettatrice marginale in una regione che fino a pochi mesi fa sembrava sotto il suo controllo strategico. È la fine della sua sfera d’influenza mediorientale?

Medio Oriente senza Mosca

La caduta di Assad: fine di un’alleanza storica

È passata quasi sotto silenzio mediatico in Europa, ma ciò che è avvenuto a Damasco nei mesi scorsi rappresenta un autentico terremoto geopolitico. Il regime di Bashar al-Assad, sopravvissuto a oltre un decennio di guerra civile grazie al supporto militare russo e iraniano, è crollato. Non per una rivoluzione popolare né per un’azione internazionale ufficiale, ma per un colpo di mano portato avanti da fazioni ribelli sostenute tacitamente dalla Turchia e, secondo fonti siriane e libanesi, da apparati legati agli Stati Uniti.

Il golpe non sarebbe riuscito senza il contemporaneo disimpegno degli alleati storici di Damasco. La Russia, alle prese con l’usura del conflitto ucraino e una crescente pressione economica, ha mantenuto una posizione defilata. Non sono arrivati né rinforzi né minacce di rappresaglia da parte del Cremlino. Teheran, dal canto suo, troppo esposta sul piano interno e attenta a non aprire troppi fronti simultanei, ha limitato le sue reazioni a dichiarazioni di principio.

Per Mosca, si è trattato di una sconfitta simbolica e strategica. La Siria rappresentava, da un punto di vista geopolitico, l’unico vero bastione mediterraneo della Russia, con basi navali a Tartus e presenza aerea a Latakia. L’uscita di scena di Assad, e con lui dell’alleanza trilaterale Mosca-Damasco-Teheran, segna un ridimensionamento clamoroso dell’ambizione russa in Medio Oriente.

L’operazione “Rising Lion” e la solitudine dell’Iran

Ma è negli eventi delle ultime ore che si misura l’ulteriore collasso della postura russa nella regione. Israele ha infatti lanciato l’operazione “Rising Lion”, una delle più vaste e chirurgiche offensive militari contro il territorio iraniano mai realizzate finora. Obiettivi colpiti: impianti nucleari sotterranei, depositi missilistici, centri di comando e basi dell’élite pasdaran. Tra i target, anche infrastrutture simboliche del regime come i centri di comunicazione strategica e strutture dell’Organizzazione per l’Energia Atomica.

L’attacco ha mostrato due elementi fondamentali: da una parte, la vulnerabilità iraniana sul piano dell’intelligence e della difesa aerea. Dall’altra, la completa assenza di deterrenza esterna. Dove si attendeva almeno una presa di posizione ferma da parte della Russia – che storicamente ha protetto l’Iran nei consessi internazionali e ha contribuito alla sua modernizzazione militare – si è registrato il silenzio. Al di là di generiche dichiarazioni di “preoccupazione”, il Cremlino non ha reagito né sul piano diplomatico né su quello operativo.

Non è un dettaglio secondario. Israele, prima di procedere con un’operazione di tale portata, ha verosimilmente valutato la posizione degli attori globali, Stati Uniti in primis. Il presidente Trump ha lasciato intendere che, in caso di escalation, “gli USA sapranno difendere i loro interessi”, ma ha anche apertamente ipotizzato una mediazione futura con l’aiuto della Russia. Tuttavia, questa eventualità appare più come un tributo retorico che una reale disponibilità operativa: al momento, Putin non ha né lo spazio diplomatico né la forza militare per intervenire.

Un Cremlino relegato al ruolo di spettatore

Il Medio Oriente, che solo pochi anni fa sembrava essere tornato sotto l’ombrello russo, si sta rapidamente trasformando in un teatro dove Mosca conta sempre meno. La caduta di Assad ha cancellato una delle pedine chiave della strategia russa nel Mediterraneo. L’attacco israeliano all’Iran, invece, ha esposto l’incapacità russa di garantire protezione anche ai suoi partner strategici.

Nel nuovo scacchiere, gli unici attori in grado di dettare il ritmo degli eventi sembrano essere Israele, gli Stati Uniti e in parte alcune monarchie del Golfo. Pechino si limita a intervenire con appelli alla de-escalation, conscia di non avere ancora un ruolo strutturato in campo militare nella regione. Teheran, isolata e vulnerabile, potrebbe a questo punto dover accettare nuove condizioni nel caso di un ritorno al tavolo dei negoziati.

La Russia, invece, è prigioniera della propria debolezza. La guerra in Ucraina continua ad assorbire risorse, generali e attenzione strategica. I tentativi di estendere l’influenza in Africa, pur incisivi in alcuni scenari (come nel Sahel), non bastano a compensare il collasso dell’apparato di alleanze mediorientale. Con il collasso siriano e la solitudine iraniana, il Cremlino perde l’ultima parvenza di centralità geopolitica in Medio Oriente.

La fine di un’illusione imperiale

La realtà è che la Russia si sta lentamente trasformando da potenza revisionista a potenza difensiva. Ciò che accade oggi tra Siria e Iran non è solo una sconfitta tattica, ma l’atto finale di una parabola iniziata con l’intervento in Siria del 2015 e proseguita con l’illusione di poter contrastare l’egemonia occidentale sul Mediterraneo.

Ora, con Assad deposto e Teheran colpita nel cuore, la Russia assiste impotente allo smantellamento di ciò che aveva faticosamente costruito. Il sogno di un “asse della resistenza” alternativo all’Occidente – con Mosca garante – si infrange sulla cruda realtà delle bombe, delle rivolte interne e delle nuove dinamiche di potere. In Medio Oriente, oggi, non c’è più spazio per l’orso russo.

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Articolo scritto da:
Bruno Bindel

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