“M – Il figlio del secolo”: un racconto che semplifica la storia
17 Gen 2025 - Approfondimenti Politici
La serie di Joe Wright riduce la complessità del primo dopoguerra a una caricatura, ignorando il contesto di violenza diffusa e le vere radici storiche del fascismo.

La serie televisiva M – Il figlio del secolo, diretta da Joe Wright e ispirata al romanzo di Antonio Scurati, si propone di raccontare la figura di Benito Mussolini e le origini del fascismo, ma lo fa attraverso una lente semplificatrice e, a tratti, ideologica. Invece di offrire una riflessione seria e ponderata sulle ragioni che portarono il fascismo al potere, si limita a ritrarre il Duce e il suo movimento come il frutto di violenza e opportunismo. Tuttavia, la realtà storica è ben più complessa di come viene presentata, e merita di essere analizzata senza pregiudizi.
La violenza delle piazze: una realtà condivisa
Uno degli elementi ricorrenti nella narrazione antifascista è la sottolineatura della violenza fascista, spesso descritta come una novità assoluta e come l’unico fenomeno di quel periodo. Tuttavia, il primo dopoguerra italiano fu un’epoca segnata da uno scontro politico e sociale di dimensioni inedite, in cui la violenza non era affatto monopolio dei fascisti. Le piazze rosse erano teatro di tensioni e scontri, con obiettivi mirati contro chiunque rappresentasse un’idea diversa: dai reduci della Grande Guerra ai simboli di uno Stato percepito come nemico della rivoluzione.
Molti reduci, anche mutilati, furono vittime di aggressioni, scherni e, in alcuni casi, veri e propri linciaggi da parte di gruppi organizzati che volevano imporre con la forza un progetto bolscevico sul modello della rivoluzione russa. Questi episodi non furono sporadici, ma parte di un disegno più ampio che mirava a destabilizzare il Paese per instaurare un regime socialista rivoluzionario. È in questo contesto che si inserisce la reazione dei reduci e delle nuove generazioni, che trovarono nel fascismo una risposta organizzata e determinata per contrastare quella violenza.
Le squadre fasciste: una reazione al caos
Le squadre d’azione fasciste, spesso ritratte come gruppi dediti esclusivamente alla brutalità, nacquero come risposta a un clima di estrema tensione sociale. Non si trattava di un’aggressione unilaterale, ma di una reazione alle violenze e alle minacce provenienti da un movimento bolscevico che puntava a sovvertire l’ordine costituito con mezzi altrettanto violenti. I fascisti, molti dei quali provenienti dalle fila dei reduci di guerra, non accettarono di essere relegati al ruolo di bersagli e scelsero di organizzarsi per difendere se stessi, i loro compagni e un’idea di ordine che percepivano come minacciata.
La nascita delle squadre fasciste fu quindi il frutto di un’escalation di violenze reciproche, in cui l’ideologia si intrecciava con un bisogno concreto di protezione e di affermazione. Questo non giustifica gli eccessi, ma permette di inquadrare il fenomeno nel suo reale contesto storico, lontano dalla narrativa monolitica che tende a demonizzare una sola parte.
Un racconto che ignora la complessità
La serie M, così come molte altre narrazioni contemporanee sul fascismo, evita di affrontare questa complessità. Benito Mussolini viene rappresentato come un personaggio opportunista e cinico, privo di una visione politica coerente e mosso unicamente da ambizione personale. La realtà, però, era ben diversa: Mussolini fu un uomo che seppe intercettare il malessere di una generazione e canalizzarlo in un movimento politico capace di rispondere alle sfide di un’epoca drammatica.
Il passaggio di Mussolini dall’interventismo alla fondazione del fascismo non fu un mero tradimento del socialismo, ma il frutto di una riflessione sulle trasformazioni globali: il fallimento dell’internazionalismo socialista, la crisi delle ideologie tradizionali e l’emergere di nuove forme di conflitto tra le nazioni. Ridurre tutto a un calcolo personale significa ignorare il ruolo che questi fattori ebbero nella formazione del pensiero di Mussolini e, di conseguenza, nella nascita del fascismo.
L’antifascismo e il mancato confronto con la storia
L’Italia, ancora oggi, fatica a confrontarsi con il proprio passato senza pregiudizi. L’antifascismo militante si è spesso dimostrato incapace di analizzare seriamente le cause profonde che portarono al fascismo, preferendo una condanna ideologica che finisce per lasciare irrisolti i nodi storici. Questa superficialità non solo impedisce di comprendere appieno il fenomeno fascista, ma rischia anche di alimentare nuove divisioni e tensioni.
M – Il figlio del secolo rappresenta un’occasione persa per raccontare la storia con maggiore equilibrio e profondità. La violenza del fascismo non può essere negata, ma neppure separata dal contesto storico in cui si sviluppò, caratterizzato da un clima di violenza diffusa e da una lotta ideologica senza quartiere. Per comprendere davvero il fascismo, è necessario abbandonare le caricature e i pregiudizi, e affrontare la storia con onestà intellettuale. Solo così sarà possibile chiudere i conti con il passato e costruire un futuro fondato sulla conoscenza e non sull’odio ideologico.