L’ombra lunga della deterrenza: l’attacco iraniano e la tregua forgiata da Trump
24 Giu 2025 - Medio Oriente
Teheran colpisce simbolicamente Al Udeid con missili balistici di vecchia generazione, Washington risparmia la rappresaglia, Doha media. E Trump impone la pace: una lezione di guerra calibrata e diplomazia muscolare.

L’attacco di Teheran: una risposta misurata, ma non improvvisata
Alle prime ore del 23 giugno 2025, l’Iran ha risposto all’attacco statunitense del giorno precedente lanciando un’ondata di missili balistici a corto e medio raggio contro la base aerea di Al Udeid, in Qatar — cuore nevralgico della proiezione di potenza americana nel Golfo. L’azione, denominata “Glad Tidings of Victory” dalle Guardie Rivoluzionarie, aveva un significato eminentemente politico, più che militare. L’obiettivo non era infliggere danni concreti, ma marcare una linea rossa di fronte all’opinione pubblica interna e internazionale.
Secondo fonti statunitensi e qatariote, 14 missili sono stati lanciati, ma 13 sono stati neutralizzati dalle batterie THAAD e Patriot PAC-3 in dotazione a Doha. Il quattordicesimo è caduto a chilometri dal perimetro militare, suggerendo con ogni probabilità una traiettoria calcolata e non un errore balistico. Il messaggio: l’Iran sa colpire, ma sceglie deliberatamente di non uccidere.
Assetti impiegati e implicazioni operative
L’attacco ha sfruttato una combinazione di missili Fateh-110 e Zolfaghar, vettori noti per la loro mobilità e versatilità nel teatro medio-orientale, ma ormai obsoleti rispetto ai moderni sistemi antimissile NATO. La loro intercettazione non ha rappresentato una sfida significativa per le difese qatariote. Tuttavia, va sottolineata la rapidità dell’azione: meno di 24 ore dopo l’operazione statunitense, Teheran era già in grado di eseguire un lancio coordinato da più piattaforme mobili, segno di una pianificazione pregressa e di una catena di comando efficiente, nonostante i danni subiti nei raid USA su Isfahan e Fordow.
La prontezza difensiva di Doha, supportata da early warning statunitensi, dimostra come il fronte alleato fosse ben preparato a una risposta di questo tipo. La chiusura preventiva dello spazio aereo da parte di Qatar, Emirati e Bahrain ha rappresentato un elemento chiave per evitare una crisi più ampia.
Strategia iraniana: equilibrio tra pressione e diplomazia
L’Iran ha deliberatamente calibrato il livello dello scontro: un attacco troppo violento avrebbe scatenato un’altra ondata di raid americani; un’assenza di risposta avrebbe compromesso la credibilità interna del regime. Teheran ha dunque optato per un attacco simbolico, controllato, privo di vittime, ma sufficiente a conservare l’apparenza di una risposta proporzionata.
È il paradigma della deterrenza gestita, in cui le azioni militari sono usate non per ottenere vantaggi tattici immediati, ma per plasmare le condizioni strategiche future. In questo caso, la condotta iraniana ha creato le condizioni per l’intervento diplomatico successivo.
Trump impone il cessate il fuoco: diplomazia della forza
Nella notte del 23 giugno, il presidente Donald Trump ha annunciato un cessate il fuoco bilaterale tra Israele e Iran, mediato grazie anche al ruolo silenzioso ma decisivo del Qatar. In conferenza stampa, Trump ha parlato di una “Complete and Total Ceasefire”, precisando che l’Iran avrebbe fermato ogni tipo di offensiva a partire dalle 4 del mattino ora locale, mentre Israele avrebbe sospeso le sue operazioni aeree entro la serata.
Il risultato è il frutto di una catena di eventi sapientemente orchestrata: attacco preventivo USA sui siti nucleari, risposta iraniana calibrata, contenimento del danno da parte degli alleati del Golfo, e infine l’entrata in scena del mediatore forte. Trump ha giocato la carta classica dell’escalation seguita da de-escalation pilotata, mostrando muscoli e poi offrendo una mano. Una tattica già vista ai tempi di Soleimani, ma ora perfezionata su scala regionale.
Guerra e pace sotto il controllo degli Stati Uniti
L’intera sequenza — attacco, contrattacco, tregua — dimostra che l’equilibrio di potere in Medio Oriente è ancora largamente determinato dagli Stati Uniti. Ma in questa fase storica, è Donald Trump a dettare i tempi e i limiti della guerra. La sua tregua non è solo un armistizio temporaneo, ma un gesto di autorità imperiale: quella di chi può colpire, contenere la risposta e poi far sedere tutti al tavolo. Per l’Iran, la lezione è chiara: la guerra simmetrica non è un’opzione. Per l’Occidente, resta l’interrogativo: quanto durerà questa fragile pax americana?