L’Europa impone il -90% di emissioni entro il 2040
3 Lug 2025 - Europa
Il nuovo obiettivo climatico della Commissione UE allarma imprese e sindacati. Dietro la retorica verde, la realtà di una transizione imposta dall’alto che rischia di distruggere l’industria europea in nome dell’ideologia.

Un piano ideologico travestito da strategia climatica
La Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen ha svelato l’ultima tappa del suo disegno ideologico travestito da sostenibilità: entro il 2040 l’Unione dovrà ridurre le emissioni climalteranti del 90% rispetto al 1990. Non importa se per raggiungere il primo -55% siano serviti quasi quarant’anni: i restanti 35 punti percentuali andranno raggiunti in poco più di un decennio, colpendo i settori più energivori, dall’acciaio alla chimica, già oggi in crisi.
La narrazione è sempre la stessa: urgenza, emergenza, irreversibilità. Eppure dietro lo storytelling green, si cela un altro volto dell’Europa: quello della pianificazione autoritaria, che impone obiettivi senza valutarne gli effetti sociali ed economici. Una transizione dove la decrescita non è più un’ipotesi, ma l’esito inevitabile.
La grande retorica delle emissioni, mentre l’industria muore
L’aria rovente a Bruxelles – 33 gradi a inizio luglio – è servita come sfondo drammatico per annunciare la nuova accelerazione climatica. I tecnocrati della Commissione la chiamano “pietra miliare”, ma per chi lavora nell’industria europea è una sentenza. Lo ha spiegato bene Bart De Wever: se i primi 55 punti sono costati quattro decenni, ora l’Europa pretende di completare l’opera in dieci anni, senza strumenti concreti né strategie realistiche.
Lo ammette implicitamente anche la Commissione, che scommette sulla cattura della CO₂ e sul nucleare – oggi delegittimato da decenni di ambientalismo dogmatico – pur senza presentare un piano dettagliato. L’unico dogma è la “neutralità tecnologica”, una formula opaca che serve solo a mascherare l’assenza di un vero pragmatismo.
Parlamento diviso, governi spaccati, e lobby verdi sempre più potenti
A dividere i Paesi membri non è tanto la meta – zero emissioni al 2050 – ma la strada per arrivarci. Da una parte chi si illude che l’innovazione arrivi magicamente “seguendo la domanda”, dall’altra chi osserva che le tecnologie oggi non ci sono, o sono troppo costose. Intanto, in nome dell’ideologia green, si spinge per obiettivi scollegati dalla realtà.
La Francia parla apertamente di “follia”: il presidente Macron ha denunciato il paradosso di un’Europa che chiude le acciaierie pulite per importare acciaio sporco dall’Asia. L’Ungheria ha bollato l’obiettivo come “insostenibile”. Ma tutto questo, per i burocrati di Bruxelles, pare irrilevante: l’importante è inchinarsi al nuovo verbo ecologista, dove ciò che conta non è il risultato, ma l’obbedienza.
I sindacati: decarbonizzazione fa rima con deindustrializzazione
Durissimo il giudizio della confederazione sindacale europea (Etuc), che ha denunciato l’irresponsabilità della Commissione. Ogni giorno, nell’UE, si perdono circa 500 posti di lavoro nell’industria. La realtà è sotto gli occhi di tutti: la decarbonizzazione sta procedendo non per transizione tecnologica, ma per abbandono produttivo.
Esther Lynch, segretaria generale dell’Etuc, ha parlato chiaro: “Stiamo raggiungendo gli obiettivi climatici solo perché le nostre industrie stanno chiudendo”. Una transizione giusta, dicono i sindacati, richiederebbe investimenti veri, posti di lavoro verdi di qualità, percorsi di formazione. Ma nulla di questo è sul tavolo.
Una Commissione senza trasparenza: 600 pagine senza una stima
Bruxelles afferma di aver condotto un’analisi d’impatto “approfondita”: più di 600 pagine. Eppure, cercando la parola “jobs” nei documenti ufficiali, non si trovano stime sui posti persi o creati. Nessun numero, nessuna previsione. Solo ideologia.
È in questo contesto che i gruppi parlamentari dei partiti conservatori, identitari e patriottici hanno chiesto e ottenuto l’avvio di una commissione d’inchiesta sulle lobby verdi, che in questi anni hanno dettato legge a Bruxelles, influenzando politiche ambientali scollegate dalla realtà produttiva ed energetica del continente. Un potere opaco, lontano dagli elettori, ma ben presente nei corridoi delle istituzioni europee.
Il rischio di un’Europa senza industria e senza autonomia
Senza siderurgia, senza energia a basso costo, senza programmazione reale, l’Europa rischia di uscire dalla competizione globale come potenza economica e strategica. E non sarà la propaganda verde a salvarla. Il Green Deal è diventato, nei fatti, un’ideologia totalizzante, che impone obiettivi calati dall’alto e travolge ogni dissenso in nome dell’“emergenza climatica”.
Conclusione: la transizione verde o l’inizio della decadenza europea?
Nessuno nega l’importanza della sostenibilità ambientale. Ma quando il piano si fa cieco, disancorato dalla realtà, privo di basi economiche e sociali, diventa un’arma contro l’Europa stessa. Una grande macchina retorica che nasconde la decrescita, la chiusura delle fabbriche, la precarizzazione del lavoro, la dipendenza energetica dall’estero. La cosiddetta transizione verde ha tutto l’aspetto di un nuovo dogma, e il sospetto – ormai legittimo – è che più che salvare il clima, si voglia trasformare la nostra economia in un esperimento ideologico. E le vittime saranno sempre le stesse: lavoratori, famiglie, imprese, libertà.