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Le radici d’Europa. Ritrovare l’anima perduta di una civiltà millenaria

- Civiltà Europea

Un viaggio nel cuore spirituale dell’Europa, dalle origini indoeuropee alla crisi contemporanea. Dalla società tripartita arcaica alla figura di Flavio Claudio Giuliano, fino al dominio del capitalismo e del marxismo: la perdita del sacro come chiave del declino europeo.

Le radici d’Europa. Ritrovare l’anima perduta di una civiltà millenaria

📋 Riassunto dell'articolo

L’articolo inaugura la serie Le radici d’Europa, analizzando la crisi spirituale del continente moderno, ormai vassallo politico e culturale degli Stati Uniti. Attraverso il pensiero di Eliade, Ries e Dumézil, esplora la civiltà indoeuropea come matrice dell’identità europea, fondata su una tripartizione sacra e su una religiosità del Mistero contrapposta alla religione del Libro. Viene delineato il ruolo del cristianesimo come punto di distacco dalle radici originarie e ricordato il tentativo dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano di restaurare l’antico culto solare. L’articolo denuncia infine la continuità del materialismo moderno — dal capitalismo al marxismo — come causa della decadenza europea, e invoca una rinascita spirituale fondata sull’ordine, sul simbolo e sul sacro.

C’è un grande silenzio che pesa sull’Europa.
Un silenzio che non è pace, ma assenza di voce, di spirito, di direzione.
Nel cuore di un continente che un tempo irradiava civiltà, oggi regna la rassegnazione: la politica ridotta a burocrazia, la cultura a intrattenimento, la fede a formalità. Le nazioni europee, svuotate della loro sovranità spirituale e geopolitica, sono diventate vassalli obbedienti di un impero d’oltreoceano che ha trasformato la libertà in moneta e la democrazia in spettacolo.
La cosiddetta “Unione” non unisce più nulla: è un mercato senza anima, un meccanismo senza ideali. L’Europa dei poeti e dei cavalieri, dei mistici e dei filosofi, ha lasciato il posto all’Europa dei commissari, dei banchieri e dei sondaggi.
Ma le civiltà non si spengono: si eclissano, e talvolta si risvegliano.
E per rinascere, bisogna guardare alle radici, a quel fondamento invisibile che precede ogni ideologia e ogni istituzione.

Il destino spirituale dell’Europa

L’Europa non è un accidente geografico.
È un’idea, una forma spirituale che nei secoli ha cercato equilibrio tra cielo e terra, tra ragione e mistero.
Dalla Grecia alla Roma imperiale, dalle cattedrali gotiche alle saghe nordiche, il filo conduttore è sempre lo stesso: l’uomo europeo come essere verticale, che non si accontenta del mero vivere ma cerca un senso più alto nell’azione, nella contemplazione e nella bellezza.
Questa visione non è frutto del cristianesimo, anche se in parte lo ha ereditato e trasfigurato: nasce molto prima, nella remota civiltà indoeuropea, da cui discendono le grandi famiglie culturali dell’Occidente e dell’Oriente ariano.

Le origini indoeuropee: il cielo come patria dell’uomo

Le radici indoeuropee affondano nella notte dei tempi.
Tra le steppe pontiche e l’altopiano iranico nacque una concezione del mondo che vedeva nel cosmo non un caos da temere, ma un ordine da comprendere e onorare.
Come ricordava Mircea Eliade, l’uomo delle origini non cercava di “fuggire il mondo”, ma di sacralizzarlo: ogni gesto, dal lavoro al sacrificio, ripeteva un archetipo divino.
Il mondo era un tempio, e l’uomo un sacerdote del reale.
Il mito non era favola, ma rivelazione.
E la religione non imponeva leggi, ma svelava significati.
Nella cultura indoeuropea non esisteva una contrapposizione tra materia e spirito, ma una continua osmosi, una tensione armoniosa verso l’alto.

La tripartizione sacra delle società arcaiche

Come spiegò Georges Dumézil, il modello delle società indoeuropee si fondava su una tripartizione organica delle funzioni:

  • il sacro e il giuridico, rappresentati dai sacerdoti e dai re sacri;
  • la forza guerriera, custode dell’onore e dell’ordine;
  • la fecondità produttiva, affidata agli agricoltori, agli artigiani, ai creatori della ricchezza concreta.

Tre funzioni non in conflitto, ma complementari, come le tre dimensioni dell’essere.
In questa armonia si rifletteva l’ordine cosmico: la società era un microcosmo che riproduceva la gerarchia divina.
Non c’era dominio, ma corrispondenza: il potere politico aveva un fondamento sacro, la forza militare una giustificazione morale, il lavoro un valore religioso.
Era una visione del mondo ordinata e gerarchica, ma non oppressiva.
L’uomo valeva per la sua funzione nel tutto, non per la quantità dei suoi beni.
L’individuo non era un numero, ma una parte viva del destino comune.

Il cristianesimo e la frattura delle radici

Quando il cristianesimo giunse a dominare il mondo romano, l’antica armonia indoeuropea fu spezzata.
Non per colpa della fede in sé, ma per un mutamento radicale di paradigma:
il divino non fu più percepito come forza immanente e ciclica, ma come volontà trascendente e lineare.
Il tempo cessò di essere circolare, divenne storia di salvezza; la colpa sostituì il destino, la grazia sostituì l’onore.
La spiritualità eroica e solare dell’Europa arcaica cedette il passo a una visione penitente e universalista.
Il mondo non fu più sacro, ma luogo di caduta.
La ricerca del divino si trasformò in attesa della redenzione.
Eppure, anche in questa trasformazione, l’Europa seppe dare al cristianesimo la sua forma più alta: la cattedrale gotica, la teologia tomista, la cavalleria mistica.
Ma restò sempre, nel cuore dell’uomo europeo, un rimpianto per la purezza perduta delle origini, per la religione della luce e della forza che aveva preceduto il Libro.

Flavio Claudio Giuliano e l’ultimo tentativo di restaurazione del sacro

In questo contesto emerge una figura straordinaria e tragica: Flavio Claudio Giuliano, detto l’Apostata.
Imperatore dal 361 al 363 d.C., fu forse l’ultimo sovrano romano a comprendere che la decadenza dell’Impero non era solo militare, ma spirituale.
Giuliano vide nel cristianesimo non una fede, ma una rottura dell’ordine tradizionale.
Tentò di restaurare l’antica religione, non come superstizione, ma come sistema di valori fondato sulla gerarchia, sul culto del Sole e sulla virtù eroica.
Il suo sogno era ricostruire un mondo in cui gli dèi e gli uomini convivessero nell’armonia del cosmo.
Iniziò un’opera di riforma religiosa, morale e culturale, cercando di restituire dignità alla paideia greco-romana.
Scrisse trattati di filosofia neoplatonica, si oppose alla mercificazione del sacro e cercò di unire in un’unica sintesi il pensiero ellenico e la spiritualità solare.
Morì giovane, trafitto da una lancia in Persia.
Con lui scomparve l’ultima speranza di un ritorno alla religione cosmica e aristocratica dell’Europa antica.
Ma la sua figura rimase un simbolo eterno: quello dell’uomo che tenta di restituire alla vita la luce degli dèi.

La spiritualità del Mistero e la religione del Libro

In questa visione, la divinità non si imponeva attraverso un testo o una rivelazione definitiva, ma attraverso simboli, miti e cicli cosmici.
Il sacro era esperienza e intuizione, non dogma.
Come ha mostrato Julien Ries, la religiosità indoeuropea era “una teologia del simbolo”, dove l’uomo cercava il divino nella natura, nei riti, nella poesia e nella guerra, non in un comandamento esterno.
È qui che l’Europa si distingue da quella che Eliade chiamava la “religione del Libro”: mentre le tradizioni semitiche fondano la fede sulla parola rivelata e sulla sottomissione alla volontà di Dio, le tradizioni indoeuropee si fondano sulla partecipazione al sacro, sull’ascensione dell’uomo verso l’assoluto.
Non si tratta di giudicare, ma di comprendere la diversità spirituale:
una è la via della obbedienza alla Parola, l’altra è la via dell’imitazione del divino.
La prima cerca la verità attraverso la Legge, la seconda attraverso il Rito.
L’una tende alla salvezza dell’anima, l’altra alla trasfigurazione dell’essere.

Capitalismo e marxismo: le due malattie dell’anima moderna

Il lento tramonto dell’Europa spirituale non iniziò con la guerra o con le rivoluzioni, ma con il trionfo dell’utilitarismo borghese, cioè con il capitalismo.
Quando l’economia cessò di essere un mezzo per diventare un fine, l’uomo perse il contatto con la sacralità della vita.
L’ordine tripartito divenne monotono: la terza funzione — quella produttiva — divorò le altre due.
Il mercante prese il posto del sacerdote e del guerriero.
Il profitto sostituì l’onore, l’utile sostituì il bello, la quantità sostituì la qualità.
In reazione a questa deriva nacque il marxismo, che non fece che portare alle estreme conseguenze la stessa logica materialista.
Dove il capitalismo sacralizzava il denaro, il marxismo sacralizzò la materia; dove il primo predicava la competizione, il secondo impose l’egualitarismo.
Ma entrambi condividevano la medesima negazione: l’assenza di trascendenza.
Erano due volti della stessa medaglia, due fratelli nemici accomunati da un identico disprezzo per lo spirito.
Il risultato è l’uomo moderno: sradicato, isolato, incapace di riconoscere il divino in sé e nel mondo.
Un essere che vive senza senso, ma circondato da oggetti; che parla di diritti, ma ha dimenticato il dovere; che venera la scienza, ma ignora la sapienza.

Verso una nuova alleanza con il sacro

Riscoprire le radici indoeuropee significa restituire all’Europa il senso della verticalità.
Significa capire che il sacro non è superstizione, ma architettura del mondo.
Che la gerarchia non è oppressione, ma ordine.
Che la libertà non nasce dal rifiuto, ma dal compimento di un destino.
L’uomo europeo del futuro non potrà rinascere finché non riscoprirà la propria dimensione simbolica e sacrale.
Dovrà ritrovare il linguaggio degli dèi, non per fuggire dal mondo, ma per trasfigurarlo.
Solo allora l’Europa potrà tornare a essere faro di civiltà e non succursale di un impero economico.

L’Europa come destino

L’Europa è un continente in attesa del suo risveglio.
E questo risveglio non sarà politico né economico, ma spirituale.
Il nuovo umanesimo europeo non potrà fondarsi sul consumo o sulla produzione, ma sul Mistero, sulla bellezza, sul coraggio dell’essere.
Ritornare alle radici indoeuropee non significa rifiutare la storia, ma riconnettersi a una fonte più antica di libertà, una libertà interiore e aristocratica, che nasce dal dominio di sé e dalla consapevolezza del sacro.
Finché ci saranno uomini e donne capaci di alzare lo sguardo verso il cielo e ricordare che l’Europa non è una contingenza, ma una forma dell’anima, la nostra civiltà potrà ancora rinascere dalle proprie ceneri.

Fonti

  • Mircea Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose
  • Julien Ries, Le origini della religione
  • Georges Dumézil, Mito e epopea
  • Jean Haudry, Les Indo-Européens
  • Alain de Benoist, Vu de droite
  • Flavio Claudio Giuliano, Inni al Sole e alla Madre degli Dei
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  1. Sergio Marzetti ha detto:

    Ho letto e ho provato un leggero brivido. Alcune citazioni sul rito, sui simboli, sul sole, sul pensiero greco-romano, sul pensiero semitico mi hanno dato da pensare. Lo scontro a Roma tra il pensiero pagano in cui la figura degli dei non era la raffigurazione di un gruppo di gaudente immortali ma la raffigurazione di tutti elementi della Natura: il tuono, il fuoco, l’acqua di un ruscello, l’ acqua del mare, il desiderio riproduttivo. Questo pensiero entra in crisi e un tempo ciclico che gira su se stesso diventa un tempo unidirezionato. Per cercare di sostenere l’elemento che sosteneva l’autorità di Roma, per secoli gli imperatori si applicarono ad olocausti, più o meno cruenti, di martiri cristiani. Questo tempo unidirezionale è il destino di Roma stessa che, da un villaggio quadrato, cresce fino a diventare un “Impero” mondiale. A questo punto il pensiero semitico di crescita trasmesso dalle religioni orientali diventa attrattivo per la società romana. Succede che le legioni romane si rifugiano sempre più nel pensiero di un miglioramento mistico. I tribuni, Sebastiano, Martino, diventano Santi. Tutta la Legione Tebana si rifiuta di combatere. Come si sarebbe trasformato l’Impero costantiniano, interrotto per un attimo dal cristiano Giuliano, poi apostata, non lo sappiamo. Saremmo diventati una specie di Tibet e gli imperatori una specie di Dalai Lama? Tutto saltò con le tribu guerresche dei barbari che, anche se si convertirono, sempre con la spada, gli un contro gli altri armati, compresi i Pontefici, svolsero la loro attività politica. Anche il Sacro Romano Impero non brillò per lucidità cristiana e questa contraddizione è durata fino alla Prima Guerra Mondiale. Ancora più confuso e tragico fu il periodo tra le due guerre mondiali. Qui mi sono venuti i brividi pensando ai motivi “spirituali” della fortuna, breve ma intensa, del nazi-fascismo sostenuto anche da filosofi importanti come Heidegger e Gentile. Ripenso al richiamo che ho letto alle radici indo-ariane dell’Europa che si deve ritrovare in certi simboli solari. La croce uncinata è uno dei più noti e antichi simboli solari. L’olocausto dei sei milioni dei semitici ebrei è uguale ai ricorrenti olocausti imperiali dei martiri cristiani, sia ariani sia semiti, che avevano fatto proprio con fede assoluta il messaggio del Nuovo Testamento, scrittura successiva all’Antico Testamento. Gli ebrei, per il misticismo ariano del “Mein Kampf”, rappresentano il tecnicismo colpevole del capitalismo mentre i sovietici rappresentano l’altrettanto colpevole materialismo del comunismo. Allora il nazi-fascismo aveva un suo intrinseco valore etico? Io questo non lo posso accettare!
    P.S. Dopo avervi inviato il mio commento vengo da voi offeso
    dicendomi che o l’ho copiato o ve l’ho già inviato.

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