J.D. Vance a Roma, il vice USA che piace alla destra sovranista
18 Apr 2025 - USA
Duro con l’Europa, critico con il Vaticano progressista e in sintonia con l’Italia di Meloni: il vicepresidente americano porta a Roma la visione valoriale e sovranista della nuova destra statunitense.

Nel panorama confuso e spesso ipocrita della politica internazionale, l’arrivo a Roma del vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, rappresenta una ventata di coerenza, coraggio e chiarezza valoriale. Un uomo che non ha paura di dire ciò che pensa, nemmeno quando si tratta di sfidare apertamente i poteri consolidati – dal Vaticano all’Unione Europea – se questi tradiscono i principi fondanti della nostra civiltà.
Cattolico convertito, patriota americano, pensatore anticonformista, Vance porta in Europa un messaggio forte: la sovranità viene prima del globalismo, la verità prima della propaganda, la famiglia e la nazione prima degli interessi delle élite cosmopolite.
Un cattolico critico con il Vaticano “politicizzato”
Molto si è detto del rapporto teso tra Vance e Papa Francesco, ma va detto con onestà: il vicepresidente americano ha avuto il coraggio di dire ciò che milioni di cattolici nel mondo pensano da tempo. Le sue critiche alla decisione del Pontefice di limitare la celebrazione della Messa in latino non sono state un attacco alla Chiesa, ma un atto d’amore per la tradizione cattolica, sempre più minacciata da un progressismo ecclesiastico che, in nome dell’inclusività, svuota la fede della sua essenza millenaria.
Non è un caso che, nel 2021, le sue parole al Napa Institute – in cui definiva “una restrizione sbagliata” il motu proprio Traditionis Custodes – siano diventate virali tra i fedeli conservatori. E non è un caso se oggi, in molti ambienti cattolici americani e italiani, Vance venga considerato una voce autorevole e lucida, capace di coniugare fede e realismo politico.
Immigrazione: finalmente una visione cristiana e razionale
Ma è sul tema dell’immigrazione che Vance rompe davvero gli schemi del politicamente corretto. In un tempo in cui chiunque osi mettere in discussione l’accoglienza indiscriminata viene subito etichettato come “intollerante”, il vicepresidente cita Sant’Agostino e l’ordo amoris per difendere il diritto (e il dovere) di amare prima la propria famiglia, la propria comunità, la propria nazione.
La sinistra globalista si scandalizza. Ma Vance non indietreggia: l’amore cristiano non è debolezza buonista, è ordine, e in questo ordine è giusto che la protezione vada prima ai propri connazionali. È un messaggio potente, che anche molti italiani condividono: dopo anni di retorica sull’integrazione a tutti i costi, servono leader che sappiano dire “prima gli americani”, “prima gli italiani”, prima i nostri figli.
Le critiche alla Conferenza dei Vescovi cattolici statunitensi, accusata da Vance di trarre profitto dal business dell’accoglienza, sono un altro esempio del suo coraggio. Non si tratta di mancanza di rispetto, ma di chiamare le cose col loro nome: quando la Chiesa si fa ONG, perde la sua missione spirituale.
Duro con l’Europa dei burocrati, non con l’Europa dei popoli
Anche il gelo con l’Unione Europea non deve scandalizzare. Vance non odia l’Europa: odia questa Europa, quella tecnocratica di Bruxelles, quella che mette il pensiero unico al posto della libertà, quella che pretende di insegnare democrazia agli altri mentre censura il dissenso in casa propria.
Durante la Conferenza di Monaco sulla sicurezza, Vance ha detto chiaramente ciò che troppi leader europei fingono di non vedere: la libertà di parola è in declino, la democrazia è sempre più gestita da un’élite autoreferenziale e lontana dai popoli. Chi difende la sovranità nazionale – che sia in Ungheria, in Polonia o in Italia – viene criminalizzato.
Ed è emblematica la frase, trapelata da una chat privata, che ha fatto tanto discutere: “Odio solo dover salvare di nuovo l’Europa”. Una frase forte, certo, ma vera. Dopo due guerre mondiali e decenni di protezione americana, l’Europa continua a mostrarsi debole e incapace, pronta a delegare la propria sicurezza agli altri, salvo poi accusarli di imperialismo.
L’Italia come ponte: sovranità, valori e cooperazione
Ecco perché la visita a Roma assume un significato molto più profondo di una semplice tappa diplomatica. L’Italia, sotto la guida di Giorgia Meloni, è oggi uno dei pochi Paesi europei con cui Vance – e l’America che rappresenta – sente di poter dialogare seriamente. I due leader condividono una visione comune: difesa dell’identità, centralità della famiglia, rigore sull’immigrazione, alleanze atlantiche ma non subordinate.
Non è un caso se Vance ha espresso affetto sincero per il nostro Paese, ricordando l’accoglienza ricevuta dalla moglie e dal figlio durante gli Special Olympics invernali a Torino. Piccoli segnali che raccontano una stima profonda e una volontà politica di costruire un rapporto strategico e valoriale con l’Italia.
Un leader da tenere d’occhio
In un’America divisa e in una geopolitica sempre più fragile, J.D. Vance rappresenta una figura politica rara: intelligente, radicata, senza paura di sfidare i dogmi dominanti. La sua è una voce di rottura, ma anche di speranza per tutti coloro che credono che sovranità, fede e identità non siano parole del passato, ma le chiavi per costruire il futuro.
E per l’Italia sovranista, che oggi cerca riferimenti affidabili sulla scena internazionale, Vance può essere molto più di un ospite gradito: può essere un alleato strategico.