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Israele, coloni assaltano una base militare

1 Lug 2025 - Medio Oriente

Attacco choc dei coloni estremisti a una base militare in Cisgiordania: incendi, vandalismi e aggressioni ai soldati. Israele scopre che il fanatismo interno è ormai una minaccia alla propria sovranità.

Israele, coloni assaltano una base militare

Il fanatismo dei coloni estremisti: una minaccia interna per Israele

L’attacco violento condotto da un gruppo di coloni israeliani contro una base dell’esercito in Cisgiordania ha segnato un punto di rottura nell’equilibrio già fragile tra Stato, forze armate e il movimento coloniale. Incendi dolosi, vandalismi contro veicoli militari e aggressioni dirette ai soldati rappresentano un salto di qualità nella radicalizzazione di settori minoritari ma organizzati del mondo dei coloni, trasformatisi sempre più in attori fuori controllo.

Una violenza non più solo contro i palestinesi

La miccia dell’episodio è scattata dopo l’arresto di sei coloni da parte delle Forze di Difesa israeliane, colti mentre cercavano di accedere a un villaggio palestinese interdetto in seguito a precedenti scontri. La rappresaglia è stata brutale: un gruppo di giovani radicali ha fatto irruzione in una base militare, attaccando non un nemico esterno, ma le stesse istituzioni dello Stato che, storicamente, hanno garantito protezione e legittimità all’espansione degli insediamenti in Cisgiordania.

Lo Stato in allarme, ma diviso

La reazione dello Stato è stata formalmente ferma. Il primo ministro ha parlato di atti anarchici intollerabili, il ministro della Difesa ha promesso misure dure, e persino alcuni esponenti notoriamente vicini all’universo coloniale hanno ammesso che una linea rossa è stata oltrepassata. Tuttavia, la vera questione politica è un’altra: lo Stato ha alimentato per anni il clima di impunità che ha permesso a queste frange fanatiche di radicalizzarsi. Ora, lo stesso apparato che ha tollerato e spesso protetto questi gruppi si trova improvvisamente a esserne bersaglio.

Una crisi di sovranità

Dal punto di vista geopolitico, il fatto che cittadini israeliani armati attacchino l’esercito rappresenta una crisi profonda di sovranità. Lo Stato si trova minacciato non da forze esterne, ma da un fronte interno cresciuto all’ombra di un progetto di colonizzazione sostenuto per decenni. Il fanatismo che oggi incendia le caserme è lo stesso che ieri incendiava uliveti palestinesi, ma il bersaglio è cambiato. Questo segna una degenerazione che rischia di compromettere la coesione sociale e la stabilità del paese.

Il prezzo dell’ambiguità

Il movimento dei coloni non è un monolite, ma al suo interno si sono sviluppati gruppi ideologicamente intransigenti, che considerano ogni limite – giuridico, militare, politico – un tradimento della loro missione. E proprio qui sta l’ambiguità di una politica che, per ragioni elettorali e strategiche, ha permesso la crescita di un potere parallelo. Ora, quando quello stesso potere si rivolta contro l’esercito, diventa evidente che l’ambiguità ha un costo altissimo.

Una sfida esistenziale

L’episodio rappresenta molto più di un incidente isolato. È il sintomo di un male più profondo: lo Stato israeliano deve decidere se continuare a tollerare e proteggere i settori più estremisti del movimento dei coloni, o se riconoscere che l’estremismo interno è oggi una delle minacce più gravi alla propria integrità. Il fanatismo armato, quando non viene contenuto, prima o poi punta le armi contro chi gli ha aperto la strada. E in quel momento, non c’è alleanza religiosa o strategica che tenga.

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Redazione - Il Politico

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