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Iran pronto a trattare sul nucleare per fermare la guerra

17 Giu 2025 - Medio Oriente

Secondo il Wall Street Journal, Teheran sarebbe disposta a riaprire i negoziati con Washington sul programma nucleare, in cambio della neutralità americana nel conflitto con Israele. I paesi del Golfo premono per una de-escalation.

Iran pronto a trattare sul nucleare per fermare la guerra

Teheran manda segnali di apertura, ma pone condizioni

In un momento di massima tensione tra Israele e Iran, spunta la possibilità di una svolta diplomatica. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, citando fonti europee e mediorientali, l’Iran avrebbe trasmesso tramite mediatori arabi un messaggio agli Stati Uniti e a Israele: è disposto a riaprire i negoziati sul proprio programma nucleare a patto che gli americani non prendano parte attiva alla guerra in corso.

L’offerta, secondo Teheran, rappresenterebbe una via per fermare l’escalation e riportare la crisi su binari diplomatici, proteggendo al contempo le proprie infrastrutture strategiche e la stabilità del regime.

Un equilibrio precario tra minacce e diplomazia

Il messaggio dell’Iran a Israele insiste sull’interesse reciproco a contenere la violenza. Ma secondo il Wall Street Journal, i danni già inflitti dai raid aerei israeliani sugli impianti nucleari iraniani rendono difficile pensare che Tel Aviv possa arrestare l’offensiva prima di aver raggiunto i suoi obiettivi strategici, ovvero il degrado delle capacità nucleari iraniane e l’indebolimento del governo degli ayatollah.

Una tregua temporanea, tuttavia, potrebbe offrire all’Iran lo spazio necessario per riorganizzarsi e far leva sulla comunità internazionale per isolare Israele, rafforzando così il fronte diplomatico di Teheran. In quest’ottica, impedire agli Stati Uniti di intervenire militarmente equivarrebbe a una vittoria simbolica per la Repubblica Islamica.

La posizione americana: deterrenza, non intervento

Secondo Axios, fonti vicine all’Amministrazione USA hanno confermato che Washington non intende intervenire nel conflitto, a meno che l’Iran non attacchi direttamente obiettivi americani. Nel frattempo, il Pentagono ha annunciato l’invio di “risorse aggiuntive” nella regione per rafforzare le proprie difese.

Un messaggio chiaro: gli Stati Uniti vogliono evitare un’escalation militare diretta, ma restano pronti a rispondere in caso di minaccia.

Il timore americano e l’ombra delle bombe a penetrazione profonda

Una domanda aleggia tra le righe delle comunicazioni diplomatiche: l’insistenza dell’Iran nel chiedere che gli Stati Uniti restino fuori dal conflitto è solo politica, o nasconde il timore concreto delle reali capacità militari americane?

Il sito nucleare di Fordow, costruito all’interno di una montagna e considerato uno degli impianti più protetti al mondo, potrebbe essere vulnerabile solo a un tipo specifico di ordigno: le cosiddette bombe a penetrazione profonda, in gergo tecnico GBU-57 MOP (Massive Ordnance Penetrator).

Queste bombe, in dotazione esclusiva all’aeronautica militare statunitense, sono progettate per perforare bunker e strutture sotterranee corazzate prima di esplodere, rendendole l’unica vera minaccia convenzionale alla sopravvivenza dell’impianto di Fordow.

Alla luce di ciò, è plausibile che il pressing iraniano sui mediatori arabi affinché Washington resti fuori dal conflitto rifletta il timore che, in caso di coinvolgimento diretto, gli Stati Uniti possano colpire i nervi scoperti del programma nucleare iraniano con un’efficacia che Israele da sola non può eguagliare.

Teheran lo sa: finché le GBU-57 restano fuori dalla partita, Fordow può sopravvivere. Ma se gli Stati Uniti entreranno in campo, anche la montagna potrebbe non bastare più.

La scommessa di Teheran: Israele non regge una guerra lunga

Diplomatici arabi, citati in forma anonima, sostengono che Teheran stia puntando sul fatto che Israele non possa sostenere una guerra di logoramento prolungata e che prima o poi sarà costretto a cercare una via d’uscita diplomatica. Tuttavia, senza il supporto militare statunitense, Israele potrebbe non riuscire a colpire efficacemente i siti più protetti, come l’impianto di Fordow.

L’obiettivo di Teheran è dunque duplice: sopravvivere all’attacco e ribaltare la narrativa internazionale, presentandosi come attore razionale e pronto al dialogo.

Le pressioni del Golfo: negoziati subito o sarà catastrofe

Dietro le quinte si muovono anche Arabia Saudita, Qatar e Oman, impegnati a far pressione su Washington affinché imponga a Israele un cessate il fuoco. I governi del Golfo temono che il protrarsi della guerra metta in pericolo la sicurezza energetica della regione, con conseguenze devastanti sui mercati petroliferi globali.

Una destabilizzazione del Golfo, infatti, avrebbe effetti a catena sull’economia mondiale, già provata da anni di crisi geopolitiche. È anche per questo che i mediatori arabi non escludono un ruolo americano nei negoziati, purché sia limitato alla sfera diplomatica.

Il nodo del nucleare: nessuna concessione da parte iraniana

Fonti arabe hanno precisato che l’Iran, pur dichiarandosi disposto a negoziare, non ha mostrato segnali concreti di voler fare concessioni sostanziali sul proprio programma nucleare. L’arricchimento dell’uranio prosegue, e Teheran minaccia di accelerare le operazioni se gli USA non accetteranno di riaprire il dialogo.

Un messaggio implicito alla Casa Bianca: o si torna al tavolo dei colloqui, oppure la guerra si allargherà, anche sul fronte atomico.

Un fragile equilibrio tra guerra e diplomazia

Il messaggio iraniano rappresenta un momento delicato nella crisi mediorientale. Un’apertura negoziale c’è, ma è condizionata da una chiara linea rossa: nessuna presenza militare americana sul campo. Per Washington si apre ora un bivio strategico. Accettare la sfida diplomatica o lasciare che Israele porti avanti da solo la campagna militare, con tutti i rischi del caso.

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Redazione - Il Politico

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