Iran, oltre il velo della propaganda: storia, potere e religione nella Repubblica Islamica degli Ayatollah
24 Giu 2025 - Geopolitica
Da Ciro il Grande alla teocrazia moderna: l’Iran non è solo repressione e turbanti, ma una nazione con radici millenarie, una rivoluzione complessa e un potere strutturato tra religione, politica e militari.

Una civiltà millenaria che resiste alla colonizzazione culturale
Oggi si parla dell’Iran solo come dell’ultimo “Stato canaglia”, un bastione teocratico chiuso, violento e oscurantista. Ma questa è una narrativa ideologica, spesso strumentale. Per comprendere la natura del regime iraniano e la sua resistenza all’egemonia occidentale, è necessario partire da molto prima della rivoluzione islamica: dalla Persia, uno dei più antichi centri di civiltà al mondo.
Da Ciro il Grande in poi, la Persia ha rappresentato un modello imperiale alternativo al mondo greco-romano prima, e all’Occidente moderno poi. La sua identità storica non si è mai piegata del tutto, neppure di fronte agli eserciti di Alessandro Magno, ai califfati arabi o alle potenze coloniali del XX secolo. Questa consapevolezza storica spiega anche l’orgoglio iraniano e la volontà di autodeterminazione.
Dal dispotismo filo-occidentale dello Scià alla rivoluzione del 1979
Nel Novecento, l’Iran fu terreno di scontro tra sovranità e ingerenza. Dopo il colpo di Stato anglo-americano del 1953 che depose Mossadeq — colpevole di aver nazionalizzato il petrolio — lo Scià Reza Pahlavi instaurò un regime autoritario, modernizzatore, ma fortemente legato agli interessi occidentali. Grattacieli a Teheran, minigonne nei caffè, armi americane nelle caserme: ma anche la SAVAK, polizia segreta brutale, e una crescente alienazione popolare.
La rivoluzione del 1979 fu la risposta di una nazione che voleva essere padrona del proprio destino. A guidarla fu l’Ayatollah Ruhollah Khomeini, esule in Francia, che unì islam sciita, antimperialismo e rivolta sociale. Il risultato fu unico: la nascita della prima repubblica islamica della storia moderna, guidata non da un re o da un presidente, ma da un faqih, un giurista religioso.
Il potere degli Ayatollah e la struttura dello Stato teocratico
Nella Repubblica Islamica, la Guida Suprema (Rahbar) — oggi l’Ayatollah Ali Khamenei — esercita un potere che trascende il governo eletto. Ma non si tratta di un potere arbitrario: il velayat-e faqih è una dottrina giuridico-religiosa basata sull’interpretazione sciita della legge islamica, che prevede una tutela del popolo da parte dei giuristi.
Accanto alla Guida, operano il Consiglio dei Guardiani, il Consiglio per il Discernimento, e l’Assemblea degli Esperti, in un sistema che combina democrazia limitata e autorità religiosa. Non è una democrazia liberale — ma non è nemmeno un regime monolitico: le elezioni esistono, le correnti interne si confrontano, e anche i dissidenti religiosi hanno voce.
I Pasdaran: esercito, ideologia, economia
Dopo la rivoluzione, nacque il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (Pasdaran), incaricato di proteggere l’ideale rivoluzionario. Oggi i Pasdaran sono ben più di una forza militare: sono un potere parallelo, con influenza nell’economia (costruzioni, energia, telecomunicazioni), nella cultura e nella politica estera.
Con la caduta di Damasco e del governo amico di Assad, l’Iran ha perso il suo corridoio strategico verso il Mediterraneo. Resta però la forza dei Pasdaran a tenere viva l’influenza regionale attraverso Hezbollah in Libano, le milizie sciite in Iraq e le alleanze con forze anti-NATO sparse nella regione. Ma questo sistema è ora sotto assedio più che mai.
Un regime da criticare, ma una Nazione da capire
L’Iran reprime le libertà individuali e si oppone al modello liberale occidentale, è vero. Ma ridurlo a un “inferno in terra” è una caricatura utile a giustificare guerre, sanzioni, destabilizzazioni. È una civiltà complessa, con un’élite religiosa, sì, ma anche con un popolo istruito, culturalmente vivo e stanco di essere demonizzato.
Con la caduta di Damasco, il regime degli Ayatollah è più isolato. Ma è proprio ora che bisogna distinguere tra legittima critica e propaganda bellica. Capire l’Iran significa anche evitare gli errori già commessi in Iraq, in Libia, in Afghanistan. Distruggere un regime senza comprendere la Nazione che lo ospita ha sempre prodotto solo caos.