Ilaria Salis, Il Parlamento europeo non è un riparo contro la giustizia
19 Giu 2025 - Approfondimenti Politici
Ilaria Salis invoca l’immunità dell’Europarlamento non per difendere la libertà, ma per sfuggire a un processo per violenza politica. L’Europa non può diventare rifugio per chi ha confuso il dissenso con la brutalità.

Un grido disperato, ma fuori tempo massimo
Con tono drammatico e viso contratto, Ilaria Salis ha lanciato il suo appello video all’Europarlamento: “Non revocatemi l’immunità parlamentare.” Lo ha fatto evocando lo spettro dell’autoritarismo ungherese, del crollo dello Stato di diritto, persino del futuro dell’Europa. Un appello teatrale, con il pathos di chi sa che la verità processuale potrebbe essere meno ideologica e molto più concreta. Ma la domanda reale da porsi non è se Orban sia o meno un autoritario. La domanda è: l’immunità parlamentare serve a proteggere un ideale politico o a garantire l’impunità per presunti atti di violenza commessi ben prima dell’elezione?
Il vero significato dell’immunità
L’immunità parlamentare non è — e non deve mai diventare — un lasciapassare per chi è accusato di gravi reati. È una garanzia per l’esercizio libero del mandato parlamentare, non uno scudo retroattivo contro la giustizia. È stata pensata per proteggere un deputato da persecuzioni giudiziarie derivanti dalla sua attività politica, dalle sue opinioni espresse in aula, non da atti violenti o criminali commessi prima dell’elezione.
Se il Parlamento Europeo dovesse riconoscere questa richiesta di immunità, allora ogni attivista, ogni violento, ogni ideologo con un conto aperto con la giustizia potrebbe candidarsi con la speranza di trasformare l’elezione in una sanatoria giudiziaria. Sarebbe la morte della credibilità delle istituzioni europee.
Le accuse: non un errore, ma un’aggressione politica
Ricordiamolo con freddezza e senza cedere al melodramma: Ilaria Salis è accusata non di aver partecipato a una manifestazione pacifica, ma di aver fatto parte di un gruppo che, mascherato, ha aggredito fisicamente — a colpi di bastone e martello — militanti di destra per le strade di Budapest. Non è sotto processo per le sue idee, ma per le sue azioni. Un conto è la militanza, un altro è spaccare la testa a chi non la pensa come te, in un Paese democratico membro dell’Unione Europea. E questo, comunque lo si voglia camuffare con retorica antifascista, si chiama violenza politica organizzata.
Il doppiopesismo della sinistra europea
Ci troviamo davanti all’ennesimo paradosso dell’ideologia woke e dei suoi derivati radicali: quelli che si stracciano le vesti per ogni tweet scorretto, che invocano la censura contro chi dissente dal pensiero unico, oggi difendono l’immunità di una persona accusata di pestaggi a fini politici, solo perché appartiene al loro stesso universo culturale.
Immaginate cosa accadrebbe se un giovane militante di destra venisse eletto all’Europarlamento mentre è imputato per aver aggredito dei manifestanti di sinistra in un altro Paese europeo. Non ci sarebbero video-emozionali, ma editoriali indignati e richieste di revoca immediata dell’incarico.
L’Europa che vogliamo: giustizia, non scudi politici
L’Europa ha già perso troppo in termini di autorevolezza. Permettere che un seggio a Strasburgo venga usato come rifugio giudiziario sarebbe un colpo mortale alla fiducia dei cittadini. La legge deve valere per tutti, anche per chi si nasconde dietro i simboli dell’antifascismo per giustificare comportamenti da milizia violenta.
La signora Salis ha tutto il diritto di difendersi. Ma lo faccia in tribunale, come ogni cittadino europeo, senza ergersi a martire o a simbolo di una battaglia ideologica. Non è in gioco la democrazia, è in gioco la serietà delle istituzioni.