Il pensiero di Kalergi e le trasformazioni dell’Occidente
14 Giu 2025 - Approfondimenti Politici
Le idee del fondatore del movimento paneuropeo tornano al centro del dibattito pubblico: tra riflessioni filosofiche e letture politiche, c’è chi intravede nel suo progetto la matrice delle odierne dinamiche migratorie e identitarie in Europa e negli Stati Uniti.

Il progetto Kalergi: tra teoria e realtà
Nel dibattito contemporaneo su identità, immigrazione e trasformazione sociale dell’Occidente, un nome riemerge con insistenza: Richard von Coudenhove-Kalergi. La sua figura è spesso citata nei contesti più critici verso l’establishment globalista, accusato di voler annientare le specificità culturali e nazionali europee. Ma chi era realmente Kalergi, e perché oggi – a un secolo di distanza – il suo pensiero viene indicato come ispirazione di un disegno che molti ritengono ormai operativo?
Chi era Richard von Coudenhove-Kalergi
Richard Nikolaus von Coudenhove-Kalergi, nato a Tokyo nel 1894, fu un aristocratico austro-nipponico, intellettuale cosmopolita e fondatore nel 1922 del movimento Paneuropeo, la prima organizzazione che propose l’unificazione politica del continente. La sua idea era quella di evitare nuovi conflitti bellici attraverso una federazione di Stati europei, economicamente e istituzionalmente integrati.
Nel suo libro Praktischer Idealismus (1925), Kalergi immaginava un’Europa futura abitata da una popolazione meticcia, risultato dell’incrocio tra razze e popoli diversi. Secondo le sue parole, “l’uomo del futuro sarà di razza mista, eurasiatico-negroide, simile all’antico egiziano”, destinato a rimpiazzare le razze storiche europee. Non si trattava di una mera previsione sociologica, ma dell’espressione di una visione ideale, in cui l’eliminazione delle identità etniche e culturali avrebbe favorito la nascita di una società unificata e più facilmente controllabile da élite illuminate.
Dal pensiero alla prassi politica
Col tempo, alcuni studiosi e osservatori hanno riletto il pensiero di Kalergi non solo come una visione astratta, ma come il manifesto ideologico di un progetto culturale di lungo periodo, fatto proprio da segmenti significativi delle élite europee. Politiche favorevoli all’immigrazione massiccia, alla dissoluzione dei confini nazionali, alla promozione del multiculturalismo e all’erosione dei riferimenti tradizionali (religione, famiglia, patria), appaiono oggi in linea con quella visione.
Sebbene non esista un “piano Kalergi” formalizzato nei documenti dell’Unione Europea, è innegabile che molte scelte strategiche, normative e comunicative – soprattutto a partire dagli anni ’90 – riflettano principi analoghi a quelli proposti dal fondatore del movimento paneuropeo. Questo ha portato alcuni a parlare di un progetto mai dichiarato ma efficacemente portato avanti: una trasformazione profonda dell’Europa attraverso l’ingegneria demografica e culturale.
Le metropoli europee come laboratorio del cambiamento
A confermare questa ipotesi contribuisce l’osservazione della realtà urbana europea. Città come Bruxelles, Londra, Parigi, Berlino, Stoccolma e Milano stanno conoscendo, da almeno due decenni, un processo di mutamento demografico senza precedenti. Interi quartieri sono diventati enclave etniche, spesso difficilmente integrabili, dove la presenza di immigrati irregolari si combina a pratiche religiose e culturali che sfidano apertamente le regole europee, dalla parità uomo-donna alla libertà religiosa, dalla sicurezza pubblica al rispetto della legge.
In molti casi, l’autorità statale fatica a esercitare il proprio controllo. Laddove lo Stato arretra, emergono modelli alternativi di convivenza e potere, spesso fondati su logiche tribali o fondamentaliste. Il multiculturalismo, promosso come valore assoluto, si è rivelato – secondo i critici – il veicolo di una frattura culturale insanabile.
Dall’Europa all’America: il “piano” si globalizza
Negli ultimi anni, questa visione ha attraversato l’Atlantico. Negli Stati Uniti, il confronto tra identità nazionale e immigrazione si è fatto più acceso, soprattutto con il ritorno alla presidenza di Donald Trump. Le sue politiche di contrasto all’immigrazione illegale, il rafforzamento dei confini e l’idea di una “America First” fondata sulla cultura e sui valori tradizionali, hanno scatenato la reazione furibonda della sinistra liberal, che ha mobilitato masse, media e università contro ogni forma di controllo.
Le proteste – in alcuni casi vere e proprie rivolte – che stanno infiammando città come Los Angeles, New York e Chicago, sembrano ricalcare lo schema già visto in Europa: una parte dell’opinione pubblica, spesso organizzata in reti finanziate da fondazioni progressiste (leggi il nostro articolo), contesta l’idea stessa di identità nazionale. In nome di un “progetto di inclusione universale”, si promuove una società meticcia, senza confini, senza memoria storica, senza cultura unificante. Per alcuni, questa è la diretta applicazione del pensiero kalergiano su scala globale.
Una strategia culturale, non solo politica
È importante comprendere che il cosiddetto “Piano Kalergi” non va inteso come un documento operativo, ma come un orizzonte culturale condiviso da parte delle élite occidentali progressiste. Non servono leggi scritte per realizzare un progetto quando ogni apparato – mediatico, accademico, burocratico – si muove nella stessa direzione: scoraggiare ogni forma di patriottismo, relativizzare i valori occidentali, dissolvere le radici, disintegrare la coesione etnica e spirituale dei popoli europei e nordamericani.
Il dibattito è aperto, ma i segnali sono chiari
Per alcuni, tutto ciò resta una teoria del complotto. Ma per molti altri – tra cui intellettuali, giornalisti, demografi e studiosi di civiltà – è sempre più difficile parlare di coincidenze. I segnali sono visibili, tangibili, e perfettamente coerenti con quanto scritto da Kalergi cento anni fa. Il multiculturalismo come ideologia dominante, l’immigrazione di massa promossa come destino ineluttabile, il sospetto verso ogni difesa dell’identità come forma di “odio” o “intolleranza”: tutto contribuisce a una grande trasformazione, portata avanti senza dichiarazioni ufficiali ma con estrema determinazione. (Leggi il nostro articolo su Soros e la sua Open Society)
Un progetto globale di disintegrazione identitaria?
Forse non esiste un documento firmato che dia istruzioni precise. Ma esiste una direzione, una tendenza, un’architettura invisibile che guida le scelte culturali e politiche del mondo occidentale. Che si chiami “Piano Kalergi” o con altri nomi, il risultato resta il medesimo: una società nuova, sradicata, uniformata, in cui i popoli non siano più comunità storiche ma semplici aggregati funzionali a un sistema tecnocratico globale.
E forse, proprio perché non dichiarato apertamente, questo progetto risulta ancora più efficace.