Il fantasma del fascismo per difendere il loro potere
18 Giu 2025 - Approfondimenti Politici
Una lettera di premi Nobel e accademici denuncia un inesistente ritorno del fascismo: ma dietro l’allarme, la paura di chi per decenni ha dominato la cultura e ora teme il confronto con i nuovi equilibri democratici.

Il ritorno del Manifesto antifascista: allarme democratico o paura del cambiamento?
A cento anni dal Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Benedetto Croce, un nuovo appello scuote il panorama culturale europeo. Oltre trenta premi Nobel – tra cui il fisico italiano Giorgio Parisi, Mario R. Capecchi, Craig Mello, May-Britt Moser e Alvin Roth – insieme a centinaia di accademici e migliaia di firmatari, lanciano una Lettera aperta contro un presunto ritorno del fascismo. Un’iniziativa che, dietro la retorica della difesa democratica, mostra tutti i segni di una reazione ideologica elitaria e sclerotizzata, figlia di un establishment culturale che teme più la perdita dei propri privilegi che una reale minaccia autoritaria.
Una retorica stanca che ignora la realtà
Il documento – rilanciato da università e centri culturali egemonizzati da decenni da un pensiero unico progressista – evoca un pericolo fascista che, nella concretezza della realtà politica odierna, appare del tutto fuori fuoco. Non c’è traccia di dittature nei Paesi europei in cui le destre sono andate al governo. Le istituzioni funzionano, la stampa è libera, le elezioni sono regolari. Eppure, ogni avanzata elettorale delle destre viene narrata come un passo verso il baratro autoritario.
Questa insistenza, più che segnale d’allarme, suona come il riflesso condizionato di chi ha perso il controllo sul consenso e non sa più parlare al popolo.
Paura di perdere un potere che si crede eterno
Le firme eccellenti – premi Nobel, cattedratici, scrittori da salotto – sono spesso espressione di un’élite intellettuale che, dagli anni ‘70 in poi, ha trasformato scuole, università e cultura in una roccaforte ideologica. Sono i figli e nipoti dei compagni di lotta sessantottina, oggi divenuti baroni dell’accademia, consulenti a vita, garanti di un pensiero unico che ha colonizzato le istituzioni culturali. Il loro vero timore non è il fascismo, ma il confronto. Il confronto con nuove idee, nuove classi dirigenti, nuove istanze popolari che chiedono sicurezza, identità, sovranità.
Il voto democratico fa paura a chi non lo controlla
Il populismo, la destra identitaria, il conservatorismo di stampo nazionale fanno paura a questi ambienti perché sfuggono al loro controllo. I cittadini che votano Trump, Orban, Meloni o Le Pen non sono manipolati da nostalgici, ma esprimono una volontà politica che nasce da bisogni concreti. Parlano il linguaggio della realtà, mentre la cultura progressista si rifugia nella teoria, nell’indignazione permanente, nella superiorità morale che nessuno più riconosce.
Populismo e qualunquismo: le nuove categorie del consenso
Come ricordano anche intellettuali non allineati, tra cui lo storico Enzo Traverso e il politologo Federico Finchelstein, le destre di oggi non hanno nulla a che vedere con il fascismo storico. Manca l’utopia totalitaria, manca il progetto dell’Uomo nuovo. Al loro posto c’è il pragmatismo di chi vuole risposte, protezione, comunità. Una richiesta legittima che si esprime democraticamente alle urne, non con la violenza o la sopraffazione. Definire tutto ciò “fascismo” è una comoda etichetta per non entrare nel merito.
Il vero pericolo per la democrazia?
Il vero pericolo non viene da chi chiede di rivedere i trattati europei o di fermare l’immigrazione incontrollata. Il pericolo è la delegittimazione del dissenso, il ricatto morale, la criminalizzazione delle idee non conformi. È il tentativo, ben visibile in questa Lettera, di ridurre la democrazia a una prassi condizionata dall’approvazione di una casta intellettuale che considera se stessa come unico baluardo del bene.
La cultura dominante teme il nuovo
Dietro il manifesto dei Nobel e degli intellettuali non c’è il ritorno del fascismo, ma la paura del futuro. Un futuro in cui il pensiero unico non sarà più sufficiente a mantenere cattedre, poltrone e prestigio. Un futuro in cui i popoli, con sempre maggiore consapevolezza, reclamano il diritto di decidere. E forse è proprio questo che fa davvero paura a certi professori: perdere il piccolo potere baronale costruito sulla retorica dell’antifascismo permanente.