Hormuz, il collo di bottiglia del mondo
18 Giu 2025 - Medio Oriente
Lo Stretto di Hormuz torna ad agitare i mercati dopo l’attacco israeliano all’Iran: un eventuale blocco minaccia di strozzare gas e petrolio verso l’Occidente, rivelando tutta la fragilità strategica europea.

Lo Stretto di Hormuz: valvola del mondo per energia e potere
Lo Stretto di Hormuz, una sottile lingua d’acqua larga appena 40 chilometri nei punti più ampi, è uno dei passaggi strategici più cruciali al mondo. Separando l’Oman dall’Iran, questo stretto collega il Golfo Persico al Mar Arabico e rappresenta il passaggio obbligato per circa un terzo delle esportazioni mondiali di petrolio trasportato via mare. Ogni giorno, oltre 20 milioni di barili di greggio e grandi volumi di gas naturale liquefatto (LNG) attraversano queste acque, rendendo Hormuz un potenziale “collo di bottiglia” per l’intera economia energetica globale.
L’attacco israeliano e il possibile contraccolpo iraniano
Alla luce dell’attacco aereo israeliano contro obiettivi militari in Iran, cresce la preoccupazione tra analisti e governi occidentali per la possibilità che Teheran reagisca in modo asimmetrico. Una delle minacce più temute è proprio la chiusura o il blocco parziale dello Stretto di Hormuz. L’Iran ha già minacciato in passato di adottare misure del genere, e dispone dei mezzi navali e missilistici per colpire petroliere, posare mine marine o istituire un blocco de facto. Il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie (Pasdaran) ha dimostrato più volte di avere una capacità di interdizione significativa nelle acque del Golfo.
Le conseguenze per l’Occidente
L’eventuale chiusura dello Stretto di Hormuz causerebbe uno shock immediato sui mercati energetici. Paesi come Giappone, Corea del Sud, India e gran parte dell’Europa dipendono in maniera significativa dalle forniture energetiche provenienti dal Golfo. L’interruzione del transito comporterebbe un’impennata dei prezzi del greggio e del gas, aggravando l’inflazione globale e mettendo in crisi intere catene di approvvigionamento.
Per l’Europa, già indebolita dalla fine delle forniture russe via Nord Stream, un’interruzione dal Golfo Persico sarebbe drammatica. L’Italia, ad esempio, riceve LNG dal Qatar attraverso il terminale di Rovigo e altre strutture del Mediterraneo: un blocco di Hormuz renderebbe quei flussi instabili o del tutto sospesi.
Un Occidente vulnerabile: strategia energetica miope?
La dipendenza energetica dell’Occidente da zone geopoliticamente instabili come il Golfo Persico espone l’intero blocco euro-atlantico a ricatti e shock sistemici. Gli Stati Uniti, sebbene abbiano una maggiore autonomia energetica grazie allo shale oil, restano coinvolti come garanti della libertà di navigazione. È per questo che la Quinta Flotta americana è stazionata in Bahrain, pronta a difendere lo stretto.
Tuttavia, i costi di un eventuale confronto navale sarebbero altissimi. Non si può escludere che Teheran punti proprio a creare una crisi internazionale per rafforzare la propria posizione negoziale o per punire indirettamente Israele tramite il danneggiamento dei suoi alleati economici e militari.
Un punto cieco della sicurezza energetica
Lo Stretto di Hormuz è oggi più che mai un simbolo della fragilità energetica dell’Occidente. L’attacco israeliano rischia di innescare una reazione a catena che potrebbe coinvolgere non solo Teheran, ma anche attori regionali come gli Houthi in Yemen, Hezbollah in Libano e milizie filo-iraniane in Siria e Iraq. Il rischio non è solo la chiusura dello stretto, ma una destabilizzazione più ampia del Medio Oriente, con effetti devastanti sulla sicurezza energetica e la stabilità economica globale.