Un momento storico per Israele
È ufficiale: tutti i venti ostaggi israeliani ancora in vita sono stati liberati da Hamas. Poco prima delle 10, le autorità israeliane e la Croce Rossa hanno confermato che anche gli ultimi tredici prigionieri sono stati consegnati e trasferiti verso il territorio israeliano.
La notizia è esplosa come un tuono nella Piazza degli Ostaggi a Tel Aviv, dove migliaia di persone hanno seguito in diretta le fasi del rilascio. Quando sul maxischermo è apparso l’annuncio “Tutti liberi”, la folla è esplosa in un grido liberatorio, tra pianti, abbracci e bandiere sventolate in cielo.
Dopo 738 giorni di prigionia, la lunga ferita del 7 ottobre 2023 trova finalmente una chiusura simbolica. Vent’anni non cancellano le cicatrici, ma per Israele oggi è il giorno in cui il dolore si trasforma in forza nazionale.
Il ruolo decisivo della diplomazia di Trump
Il rilascio completo dei venti ostaggi non è un gesto di generosità di Hamas, ma il risultato diretto della pressione militare israeliana e della strategia diplomatica del presidente Donald Trump, che in pochi mesi ha ottenuto ciò che due anni di compromessi e mediazioni avevano fallito.
La nuova Casa Bianca ha imposto una linea netta: niente tregua senza la restituzione di tutti i prigionieri. Gli Stati Uniti hanno lavorato in coordinamento con Egitto e Qatar, ma senza concessioni politiche. L’accordo è stato chiaro e unilaterale: o la consegna immediata degli ostaggi, o la fine definitiva di Hamas come entità armata.
Il rilascio di oggi segna il successo di una diplomazia fondata sulla forza, non sulla paura. In Israele molti commentatori parlano apertamente di “momento storico”, paragonando l’intervento di Trump a quello che negli anni Ottanta permise il rilascio degli ostaggi americani in Iran.
Mentre i sostenitori del presidente americano esultano, i critici devono ammettere che la combinazione tra deterrenza militare e fermezza negoziale ha funzionato.
Le immagini della gioia a Tel Aviv
Le strade di Tel Aviv si sono trasformate in un coro collettivo. Sulla Piazza degli Ostaggi, da due anni epicentro del dolore e della speranza, il boato dell’annuncio ha fatto tremare i vetri dei palazzi. Le famiglie hanno mostrato le foto dei loro cari, gridando i nomi uno per uno, mentre le televisioni israeliane trasmettevano in diretta l’arrivo dei convogli della Croce Rossa.
Molti dei liberati – tra cui i gemelli Gali e Ziv Berman, il sottufficiale Matan Angrest e il pianista Alon Ohel – sono apparsi stremati ma coscienti. I medici hanno parlato di condizioni fisiche critiche ma stabili.
Il premier Benjamin Netanyahu ha dichiarato: “Abbiamo riportato a casa tutti i nostri figli. Israele non dimenticherà mai chi ha tentato di distruggere la nostra speranza. E non dimenticherà chi ci ha aiutato a vincere”.
Una pace ancora fragile
Il rilascio dei venti ostaggi rappresenta il punto più alto della tregua in corso, ma non ancora la fine del conflitto. Restano da definire le fasi successive del cessate il fuoco, il ritiro completo delle truppe israeliane da alcune aree e il futuro politico della Striscia di Gaza.
Israele, rafforzato da questa vittoria morale, non sembra disposto a concedere molto: l’obiettivo resta smantellare definitivamente Hamas e impedire che l’organizzazione possa riorganizzarsi.
Nel frattempo, la popolazione israeliana vive ore di commozione collettiva. Le immagini dei volti liberati scorrono in ogni casa, mentre una sola frase domina gli schermi e i social:
“Siamo tornati a casa.”
Fonti
AP News – The Guardian – The Washington Post – Il Fatto Quotidiano – Sky TG24 – Reuters