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Hamas libera sette ostaggi dopo oltre due anni

- Medio Oriente

Dopo 738 giorni di prigionia, sette israeliani sono stati liberati dai tunnel di Gaza. Un evento che segna un passaggio cruciale nel nuovo equilibrio imposto dalla fermezza israeliana e dalla diplomazia di Trump, mentre Hamas tenta di salvare la faccia in una guerra che ha ormai perso.

Hamas libera sette ostaggi dopo oltre due anni

📋 Riassunto dell'articolo

Il 13 ottobre 2025 Hamas ha liberato sette ostaggi israeliani, prigionieri dal 7 ottobre 2023. Tra loro giovani soldati, civili e musicisti sopravvissuti a condizioni disumane nei tunnel di Gaza. Il rilascio, frutto della pressione militare israeliana e della diplomazia di Donald Trump, segna una svolta nel conflitto: Hamas, ormai indebolita, tenta di salvare la faccia accettando la tregua. In Israele, la notizia è accolta come una vittoria morale e simbolica, conferma della linea della forza contro il terrorismo islamista.

Il ritorno dei prigionieri e il peso della verità

La notizia è arrivata nella notte: Hamas ha liberato sette ostaggi israeliani rapiti durante l’attacco del 7 ottobre 2023. Un rilascio che non è solo frutto di un accordo di tregua, ma il risultato di una pressione militare e politica che ha costretto il movimento islamista a cedere. Dopo due anni di prigionia nei sotterranei di Gaza, questi uomini tornano alla luce come testimoni vivi della brutalità e della propaganda di un gruppo che, mentre si diceva difensore della “resistenza”, teneva incatenati e torturati giovani civili e soldati.
La Croce Rossa li ha presi in consegna e consegnati alle autorità israeliane, che hanno disposto immediati controlli medici e psicologici. In Israele, le piazze si sono riempite di bandiere e lacrime: per molti è stato il primo vero segnale che la forza e la determinazione del governo Netanyahu, sostenuto apertamente da Donald Trump, stanno portando risultati concreti dopo anni di sangue e menzogne.

Le storie degli ostaggi e la crudeltà dei carcerieri

Tra i liberati c’è Matan Angrest, 22 anni, sottufficiale catturato vicino alla base di Nahal Oz. Fu trascinato fuori dal suo carro armato dopo un combattimento disperato. Le immagini, circolate mesi dopo, mostrarono l’orrore di un linciaggio sotto gli applausi dei miliziani di Hamas.
C’è poi Guy Gilboa-Dalal, un ragazzo di 24 anni rapito al festival Nova, simbolo di quella gioventù israeliana che ama la musica e la libertà, ma che Hamas ha trasformato in merce di scambio. Sopravvissuto alla disidratazione e alla perdita dell’udito, è oggi il volto della barbarie a cui sono stati sottoposti centinaia di civili.
Alon Ohel, pianista di 24 anni, è stato incatenato nei tunnel, privato delle cure e della luce. Ha perso la vista da un occhio, forse anche l’altro. La sua storia racconta meglio di ogni propaganda cosa significhi vivere sotto un’organizzazione che usa gli esseri umani come strumenti di guerra psicologica.
C’è poi Eitan Horn, educatore di 39 anni, rapito nel kibbutz Nir Oz insieme al fratello. La loro famiglia, emigrata dall’Argentina, rappresenta la generazione israeliana che ha creduto nel dialogo e nell’educazione, finendo vittima di un fanatismo che di umano non ha più nulla.
Infine, i gemelli Gali e Ziv Berman, giovani musicisti rapiti nel kibbutz Kfar Aza e Omri Miran, 48 anni, padre di due bambine, costretto a comparire in un video di propaganda dove, sotto minaccia, denunciava i bombardamenti israeliani. Il padre, Dani Miran, ha giurato di non radersi fino al ritorno del figlio: oggi, dopo due anni, potrà farlo.

La diplomazia della forza e il ruolo di Trump

Il rilascio non è il risultato di una vittoria morale di Hamas, ma della diplomazia della forza portata avanti da Israele con il sostegno diretto del presidente statunitense Donald Trump. La nuova amministrazione americana ha scelto una linea chiara: pace sì, ma solo dopo la resa dei gruppi terroristi.
A differenza dei lunghi anni di ambiguità dell’amministrazione Biden, oggi la Casa Bianca ha ristabilito il principio dell’ordine, sostenendo il diritto di Israele a difendersi senza compromessi. Il rilascio degli ostaggi è avvenuto solo dopo che i mediatori egiziani, su impulso di Washington, hanno imposto garanzie concrete: fine delle violenze e avvio di uno scambio umanitario monitorato.
Trump, arrivato in Israele poche ore dopo l’annuncio, ha parlato di “un passo verso la pace costruita sulla verità e non sulla paura”. Un messaggio chiaro al mondo arabo e all’Europa, dove molti governi, ancora prigionieri della retorica pacifista, faticano a distinguere tra vittime e carnefici.

Un gesto simbolico, ma non la fine

I sette uomini liberati oggi rappresentano solo una parte dei 20 ostaggi ancora in vita. Altri, probabilmente, non torneranno mai. Ma la loro liberazione segna un punto di svolta nel conflitto: Hamas è costretta a trattare perché non ha più la forza di imporre la sua guerra.
Israele, pur con le sue ferite, ha resistito e dimostrato che la fermezza può piegare anche il terrorismo più fanatico. La popolazione, che da due anni vive sospesa tra paura e speranza, ha risposto con una sola voce: “Mai più”.

Fonti

AP NewsThe GuardianThe Washington PostIl Fatto QuotidianoSky TG24Reuters

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