Giovani estremisti ebrei aggrediscono palestinesi nella Città Vecchia
26 Mag 2025 - Medio Oriente
Durante la Marcia della Bandiera, cori razzisti, aggressioni e silenzi inquietanti da parte delle istituzioni israeliane. I residenti palestinesi ancora una volta nel mirino dell'estremismo.

Che cos’è la Marcia della Bandiera
La Marcia della Bandiera è un evento nazionalista israeliano che si tiene ogni anno in occasione della cosiddetta “Giornata di Gerusalemme”, data scelta per commemorare la presa della parte Est della città da parte dell’esercito israeliano durante la Guerra dei Sei Giorni nel 1967. Per la destra religiosa e ultranazionalista, si tratta di una celebrazione della “riunificazione” della città sotto sovranità israeliana. Ma per i palestinesi – e per molti osservatori internazionali – è una provocazione deliberata, che passa attraverso il cuore del quartiere musulmano della Città Vecchia con cori, bandiere, e, troppo spesso, episodi di odio e violenza. Non è una festa dell’unità, ma un rito annuale di dominio politico e culturale su una popolazione che da decenni vive sotto occupazione e segregazione.
La Marcia della Bandiera e la provocazione annuale nel cuore di Gerusalemme
La cosiddetta “Marcia della Bandiera” che ogni anno attraversa le vie della Città Vecchia di Gerusalemme si conferma, ancora una volta, come un pretesto per scatenare l’odio etnico e la violenza. Ufficialmente organizzata per celebrare l’annessione della parte Est della città a Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni, questa manifestazione si è trasformata nel tempo in un’occasione sistematica per giovani estremisti ebrei di aggredire fisicamente e verbalmente i residenti palestinesi, spesso sotto lo sguardo passivo – se non complice – delle autorità.
Cori razzisti e aggressioni: il volto dell’ultranazionalismo giovanile
Quest’anno, i video diffusi sui social parlano chiaro: cori come “Morte agli arabi” e “Possa il tuo villaggio bruciare” risuonano tra i vicoli del quartiere musulmano della Città Vecchia. Un anziano palestinese è stato spinto con violenza mentre cercava di attraversare la folla, e gruppi di donne arabe sono state allontanate dagli agenti di sicurezza, non per essere protette, ma per non “disturbare” la sfilata degli estremisti. Una scena che conferma la trasformazione di questo evento da parata patriottica a corteo intimidatorio e carico d’odio.
Un solo arresto, ma il problema è sistemico
Nel caos generato dagli slogan e dai comportamenti violenti dei partecipanti alla marcia, le forze dell’ordine israeliane sono intervenute per arrestare… un giovane palestinese. La sua “colpa” sarebbe stata quella di aver reagito con uno spray al peperoncino davanti a un gruppo di provocatori. Nessun arresto tra gli aggressori ebrei, nessuna identificazione pubblica dei responsabili dei cori razzisti. Solo l’ennesima conferma di una gestione a senso unico della sicurezza da parte della polizia di frontiera.
La denuncia degli attivisti e il vuoto istituzionale
Alon-Lee Green, leader del movimento misto “Standing Together”, ha dichiarato che circa cento volontari erano presenti nella zona proprio per prevenire abusi e violenze. Secondo lui, la situazione è addirittura peggiorata rispetto agli anni passati, con una polizia sempre più impreparata – o peggio, indifferente – di fronte alla deriva estremista che si sta impadronendo della società israeliana. Una constatazione che fa riflettere anche sulla volontà politica di tenere sotto controllo questi episodi, che ormai non possono più essere definiti “frange marginali”.
Un rituale annuale di intolleranza e silenzi
Ogni anno si ripete lo stesso copione: giovani israeliani, spesso giovanissimi, che attaccano verbalmente e fisicamente i palestinesi, attaccano i giornalisti, imbrattano le saracinesche dei negozi con adesivi inneggianti all’espulsione dei palestinesi da Gaza e inneggiano a ideologie come il kahanismo, esplicitamente razziste e suprematiste. Il tutto sotto gli occhi delle autorità, che preferiscono minimizzare e derubricare gli eventi a “incidenti isolati”. Una narrazione sempre più difficile da sostenere davanti all’evidenza dei fatti e alla sistematicità di questi episodi.