Gaza, la tregua tiene: ostaggi verso il rilascio e un summit che ridisegna gli equilibri regionali
La giornata del 12 ottobre 2025 segna uno snodo che va oltre la cronaca. La tregua tra Israele e Hamas, siglata sotto l’ombrello diplomatico di Washington e del Cairo, regge; e con essa prende corpo il primo, concreto scambio: i 48 ostaggi israeliani ancora conteggiati — una ventina ritenuti in vita — verso la liberazione, a fronte dell’uscita dalle carceri israeliane di circa duemila detenuti palestinesi. È l’innesco di un processo che, se non verrà sabotato sul terreno, apre a una fase post-bellica costruita attorno a interessi di sicurezza e a una regia internazionale più assertiva. È il ritorno della geopolitica dura, con l’Egitto pivot della regione e gli Stati Uniti — oggi più che mai — architetti della cornice negoziale.
La tempistica degli scambi: sicurezza prima della simbolica
Secondo fonti ufficiali, il trasferimento degli ostaggi alla Croce Rossa e poi in strutture israeliane è atteso nelle prime ore di lunedì. In parallelo, Israele avvierà la liberazione dei prigionieri palestinesi, con esclusioni mirate per profili considerati ad alto rischio. L’impianto è chiaro: prima l’incolumità dei civili, poi la gestualità politica. È un’impostazione in linea con la dottrina di sicurezza israeliana e con l’approccio statunitense al “sequencing” dei dossier: de-escalation tangibile sul terreno, quindi consolidamento diplomatico nelle capitali.
Sharm el-Sheikh: un accordo “a geometria variabile” senza Israele né Hamas al tavolo
Il summit di Sharm el-Sheikh non è la consueta passerella. È, piuttosto, un atto di sovranità regionale mediata: al tavolo ci saranno Stati Uniti ed Egitto, insieme ai garanti arabi e ad alcuni leader europei, ma non i belligeranti formali. Una scelta controversa solo in superficie: si vincola la cornice, si definiscono i principi, si lasciano ai canali tecnici le implementazioni. In termini reali, significa blindare gli impegni minimi — cessate il fuoco, ostaggi, corridoi umanitari, riassetto dei valichi — per poi spostare il braccio di ferro su governance e sicurezza.
Rafah e i valichi: controllo, non illusione di apertura
Il riavvio del valico di Rafah, con una missione europea in supporto amministrativo e la supervisione dell’Autorità Palestinese, non è la “fine dell’assedio”: è una gestione controllata dei flussi. L’ingresso e l’uscita di persone e convogli resteranno subordinati a verifiche di sicurezza israeliane. L’obiettivo politico è duplice: ridurre la pressione umanitaria — con l’aumento dei camion di aiuti che entrano daily — e, insieme, evitare che i valichi tornino a essere arterie logistiche per milizie. È l’essenza di qualunque cessate il fuoco sostenibile: umanitario sì, ma dentro una cornice di interdizione.
Dopo gli ostaggi, i tunnel: l’asse della deterrenza
Il ministro della Difesa israeliano ha fissato la priorità del “giorno dopo”: neutralizzare la rete di tunnel di Hamas. Non è solo un target militare; è un messaggio strategico. Senza la metropolitana sotterranea, la capacità di rigenerazione militare di Hamas si riduce drasticamente. La novità è la dichiarata “meccanica internazionale” con guida USA per la fase di bonifica: una scelta che tende a legittimare l’operazione sul piano giuridico e a distribuirne oneri e responsabilità, riducendo il rischio di frizioni immediate con i partner arabi.
La partita della governance: oltre l’egemonia di Hamas
Molte ricostruzioni convergono su un punto: nella fase transitoria Hamas non siederà formalmente al governo della Striscia. È il vero spartiacque politico. Un assetto amministrativo senza il movimento islamista — affiancato da monitoraggio internazionale e da un ruolo operativo dell’Autorità Palestinese — spezza la continuità di potere che ha alimentato il ciclo guerra-assedio-ricostruzione. Qui si gioca la sfida a medio termine: impedire il “ritorno elastico” delle milizie dentro le istituzioni e, al contempo, evitare il vuoto che favorisce nuove entità radicali.
Perché questa tregua è diversa (e più solida) delle precedenti
Tre fattori fanno la differenza. Primo: la pressione congiunta degli attori regionali — Egitto, Qatar, Turchia — incardinata su una regia americana oggi molto più verticale. Secondo: un pacchetto operativo che lega ostaggi, aiuti e valichi a milestones verificabili. Terzo: un’agenda di sicurezza che non viene derubricata a “tema finale”, ma che entra nel cuore dell’accordo (tunnel, disarmo funzionale, interdizione dei rifornimenti). È una tregua costruita per essere misurata, non raccontata: meno fotografia, più check-point.
Il punto di vista realista: pace possibile solo con deterrenza credibile
La linea di destra — quella che privilegia l’ordine al desiderio, la deterrenza alla retorica — legge l’intesa come un compromesso accettabile solo se le clausole di sicurezza diventano irreversibili. La riapertura di Rafah non può tradursi in una riedizione del pre-7 ottobre; la governance transitoria non può tollerare doppi ruoli tra politica e milizia; la bonifica dei tunnel deve essere totale, non cosmetica. In questo senso, il summit egiziano è un banco di prova: se gli impegni dei garanti avranno strumenti di verifica e sanzione, allora il cessate il fuoco potrà reggere. Altrimenti, tornerà a essere parentesi retorica tra due fasi di conflitto.
Fonti
Adnkronos – Gaza, tregua e scambio ostaggi/prigionieri
Reuters – Summit di Sharm el-Sheikh con leader internazionali
Associated Press – Piani per rilascio ostaggi e scambio prigionieri
Times of Israel – Summit in Egitto senza Israele e Hamas
Times of Israel – Riapertura pedonale del confine Gaza-Egitto sotto monitoraggio UE
DPA via ANews – Rafah verso la riapertura con PA e missione UE
Al Jazeera (live update) – Tregua e ritirata tattica delle forze
Times of Israel (live) – Katz: focus su demolizione dei tunnel
The Defense Post – Israele: distruggere la rete di tunnel a Gaza
Jerusalem Post – Rilascio ostaggi “prima del previsto”
Sky News – Portavoce del PM: rilascio nelle prime ore di lunedì
The New Arab – Convogli di aiuti in ingresso mentre la tregua tiene
Anadolu – Leader invitati al summit e obiettivi dichiarati