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Due ponti crollati in Russia: atti di sabotaggio o segnale d’allarme in un conflitto che si allarga?

1 Giu 2025 - Europa

In una notte di terrore, due infrastrutture strategiche russe sono crollate al passaggio di treni: 7 morti e decine di feriti. I sospetti si concentrano sul sabotaggio. Un attacco alla stabilità interna russa mentre alcuni Paesi europei continuano a giocare con il fuoco.

Due ponti crollati in Russia: atti di sabotaggio o segnale d’allarme in un conflitto che si allarga?

Due crolli in poche ore: la coincidenza che non convince

Nella notte tra il 31 maggio e il 1° giugno, la Federazione Russa è stata teatro di due eventi drammatici e inquietanti: il crollo improvviso di due ponti ferroviari nelle regioni occidentali di Bryansk e Kursk, aree già sensibili perché confinanti con l’Ucraina e spesso bersaglio di attività ostili.

Nel primo caso, il cedimento di un ponte stradale ha travolto un treno passeggeri che viaggiava verso Mosca. Il bilancio è pesantissimo: 7 morti e almeno 69 feriti. Poche ore dopo, un secondo ponte è collassato al passaggio di un treno merci nel distretto di Zheleznogorsk, nella regione di Kursk. In entrambi gli episodi, le autorità russe parlano apertamente di “interferenze illegali”.

Sabotaggio: un’ipotesi sempre più concreta

Secondo le prime ricostruzioni, il crollo del primo ponte sarebbe stato provocato da esplosivi piazzati deliberatamente. Non siamo di fronte, dunque, a un incidente strutturale, ma a un vero e proprio attacco alle infrastrutture critiche della nazione. L’ombra del sabotaggio ucraino o di gruppi paramilitari sostenuti dall’intelligence occidentale – come già accaduto in passato con il ponte di Crimea – torna ad affacciarsi con prepotenza.

Il tempismo è sospetto: le esplosioni sono avvenute a poche ore di distanza, in due luoghi diversi ma con la stessa logica strategica. E cioè: minare la sicurezza logistica e seminare il panico tra la popolazione, colpendo in profondità la rete ferroviaria russa, fondamentale per trasporti civili e militari.

Il ruolo dell’Occidente e la destabilizzazione controllata

Mentre l’Europa, tra sanzioni inefficaci e illusioni belliche, continua a inseguire la narrativa della resistenza ucraina, il conflitto si sposta sempre più dentro i confini russi. Non si può più fingere: esiste una strategia precisa per destabilizzare Mosca dall’interno, colpendo infrastrutture, confondendo la popolazione e tentando di delegittimare la capacità dello Stato russo di garantire ordine e sicurezza.

Il presidente Trump – unico leader occidentale a promuovere seriamente la via della de-escalation – ha da tempo avvertito che questa guerra non finirà senza un serio ripensamento della linea aggressiva dell’Occidente progressista. Chi continua ad armare Kiev e a sostenere un conflitto a oltranza sta contribuendo alla destabilizzazione di un intero continente.

La Russia rafforza i controlli e si prepara a una nuova fase

Di fronte a questi atti ostili, la reazione russa è stata immediata: aumentati i controlli su tutte le principali infrastrutture, rafforzata la sicurezza ferroviaria, allertati i servizi di controspionaggio. È evidente che Mosca si sta preparando a fronteggiare una guerra sempre meno convenzionale, fatta di infiltrazioni, sabotaggi e terrorismo mirato.

E mentre l’élite europea discute ancora se inviare o meno truppe di terra, la Russia si riorganizza. Perché non è più solo una guerra in Ucraina: è uno scontro globale tra un blocco che difende la sovranità e uno che, in nome di un’ideologia tecnocratica e bellicista, vuole distruggere ogni ordine multipolare.

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Redazione - Il Politico

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