Dal conflitto alla trasformazione strategica
Il Donbass non è più soltanto una zona di combattimento: è diventato il cantiere di una gigantesca retrovia militare russa. Mosca, di fronte alla prospettiva di un’Ucraina ridotta a piattaforma occidentale, ha scelto la via della deterrenza e del consolidamento. È la stessa logica geopolitica che spinse Kennedy, durante la crisi dei missili di Cuba, a minacciare la guerra pur di impedire ai sovietici di trasformare l’isola in un avamposto missilistico.
Questa prospettiva spiega meglio di ogni altra perché la Russia stia investendo energie immense nel trasformare i territori occupati: non un’illusoria marcia verso l’Europa, ma la costruzione di un sistema difensivo e offensivo che renda altissimo il costo di ogni futuro intervento ostile.
Donetsk Airport: da rovina a hub per i droni
L’aeroporto internazionale di Donetsk, distrutto e abbandonato per dieci anni, è oggi un simbolo della riconversione militare. Immagini satellitari mostrano la pista ripavimentata, piccoli rifugi bianchi distribuiti lungo l’area e un hangar sorto dove un tempo c’era il terminal.
Secondo analisti OSINT ucraini, la struttura è stata adattata per i droni kamikaze Shahed, con capacità di colpire a oltre mille chilometri. Alcune varianti, armate con proiettili da artiglieria, potrebbero persino bombardare lungo la traiettoria d’attacco. Un’infrastruttura che permette a Mosca di operare con flessibilità, riducendo i tempi di volo e moltiplicando i possibili bersagli.
Dalle fabbriche ai resort: la militarizzazione diffusa
Il Donbass intero è diventato una base diffusa. Le testimonianze raccolte confermano che: – un’ex fabbrica di trattori a Berdiansk è oggi un centro logistico per blindati; – un caseificio a Dovzhansk è stato trasformato in officina per veicoli militari; – una scuola a Oleksandrivka ospita carri armati T-72 e T-90; – numerosi resort in Crimea e sul Mare d’Azov fungono da caserme per la Rosgvardia.
Le città stesse diventano nodi della macchina bellica: Mariupol è ridisegnata come centro di comando, mentre villaggi e periferie ospitano arsenali nascosti. Secondo fonti locali, ciò che si vede è soltanto una minima parte: convogli notturni e accessi negati fanno pensare a un sistema molto più esteso e capillare.
Crimea, il cuore strategico
La Crimea, già dal 2014 sotto controllo russo, rappresenta il fulcro della nuova architettura militare. Oltre alle basi aeree e navali, l’isola ospita sistemi S-400 per la difesa aerea, batterie Bastion-P con missili P-800 Oniks e la flotta del Mar Nero dotata di missili Kalibr.
L’intera penisola è stata trasformata in un hub che garantisce a Mosca la possibilità di difendere i territori occupati e di minacciare le linee logistiche ucraine. È qui che la Russia consolida la sua profondità strategica, più che in qualsiasi altra area del conflitto.
L’Europa nel collasso voluto da Biden e Zelensky
La logica russa è coerente con il linguaggio delle potenze: costruire deterrenza e profondità strategica. La vera irrazionalità sta nella linea adottata da Zelensky, sostenuto dall’amministrazione Biden-Harris, che ha trascinato l’Ucraina e l’Europa in una guerra di logoramento senza prospettiva.
Le sanzioni energetiche, l’ostinazione nel rifiutare compromessi, la dipendenza dalle forniture americane hanno prodotto un collasso economico europeo senza precedenti. I cittadini europei pagano oggi il prezzo dell’illusione di poter piegare Mosca attraverso l’isolamento e l’accerchiamento.
Trump e la via della realpolitik
Diverso l’approccio di Donald Trump, che propone un incontro diretto tra Putin e Zelensky per uscire dallo stallo. Non con concessioni unilaterali, ma con un negoziato che riconosca la realtà dei rapporti di forza e restituisca agli Stati Uniti la leadership di una pace stabile, sottraendo l’Europa al collasso a cui l’ha condannata la gestione democratica.