Dentro l’attacco: l’operazione tecnica dei B‑2 contro l’Iran
24 Giu 2025 - Geopolitica
Un’analisi dettagliata della missione americana che ha colpito i bunker nucleari iraniani: dalle rotte intercontinentali dei bombardieri B‑2, ai sistemi di rifornimento in volo, fino all’impiego delle bombe GBU‑57 in profondità. Così gli USA hanno realizzato uno dei raid più sofisticati della storia recente.

Un’operazione chirurgica per distruggere i bunker nucleari
Nella notte tra il 21 e il 22 giugno, gli Stati Uniti hanno lanciato un’operazione aerea di altissimo profilo e precisione contro obiettivi strategici nel cuore dell’Iran. L’Operazione Midnight Hammer, portata avanti da sette bombardieri strategici B‑2 Spirit, ha preso di mira tre dei siti nucleari più protetti e profondi della Repubblica Islamica: Fordow, Natanz e Isfahan. L’intento era chiaro: danneggiare in modo irreversibile le infrastrutture sotterranee dedicate all’arricchimento dell’uranio, che il regime degli Ayatollah continua a espandere nonostante le pressioni internazionali.
Il lungo viaggio dei bombardieri stealth verso il Golfo Persico
I B‑2 sono decollati dalla Whiteman Air Force Base, nel Missouri, punto nevralgico delle operazioni globali della flotta stealth americana. Dopo il decollo, gli aerei si sono diretti verso sud-est, sorvolando gli Stati Uniti in modalità low-profile per evitare interferenze radar civili. Il primo rifornimento in volo è avvenuto sull’Oceano Atlantico centrale, grazie all’impiego coordinato di KC‑135 Stratotanker e KC‑46 Pegasus. Da lì, la rotta ha proseguito verso l’Africa settentrionale, attraversando poi il Mar Rosso. In questa fase, i B‑2 hanno sfruttato finestre temporanee di disturbo radar e l’assistenza di velivoli per la guerra elettronica, oscurando il loro passaggio ai radar mediorientali.
L’ingresso nello spazio aereo iraniano è avvenuto in maniera indiretta: dopo aver sorvolato acque internazionali e territori giordani e iracheni, i B‑2 sono penetrati nella regione montuosa al nord di Isfahan, mantenendo una quota elevata ma stabile. La missione, della durata complessiva di oltre 37 ore, ha previsto almeno tre rifornimenti in volo, rendendola una delle operazioni più lunghe e complesse mai realizzate con armamento reale.
I bersagli: Fordow, Natanz, Isfahan
Il sito di Fordow, scavato nella roccia a 80 metri di profondità sotto una montagna, rappresentava l’obiettivo più critico: è qui che sono installate le centrifughe IR‑6 avanzate, protette da strati di calcestruzzo armato e da un perimetro difensivo anti-aereo multilivello. La struttura di Fordow è stata colpita con precisione da bombe GBU-57A/B Massive Ordnance Penetrator (MOP), le più potenti bombe bunker-buster dell’arsenale convenzionale statunitense.
Natanz, già oggetto in passato di sabotaggi informatici e operazioni clandestine, ospita invece il nucleo dell’infrastruttura per l’arricchimento dell’uranio. Qui i bombardieri stealth hanno coordinato l’azione con missili Tomahawk Block V lanciati da un sottomarino americano di classe Virginia, posizionato nel Golfo di Oman.
Il terzo obiettivo, Isfahan, ha un ruolo fondamentale come centro di produzione di combustibile nucleare. A essere colpita è stata in particolare la sezione sotterranea destinata al processo di conversione dell’uranio grezzo. Per questo bersaglio sono stati impiegati F-15E Strike Eagle armati con bombe guidate di media penetrazione, operando da una base avanzata in Qatar.
Le armi della profondità: la potenza silenziosa delle GBU-57
La protagonista dell’operazione è stata la GBU-57 Massive Ordnance Penetrator, un ordigno da oltre 13 tonnellate, lungo più di sei metri e dotato di una testata convenzionale da 5.300 libbre di esplosivo ad alto potenziale. Progettata specificamente per perforare strati multipli di cemento armato e roccia, questa bomba è in grado di penetrare oltre 60 metri di terreno e più di 18 metri di cemento, prima di esplodere in profondità. È guidata da un sistema GPS/INS, ed è dotata di un sensore intelligente che ne regola la detonazione in base al materiale colpito.
La scelta di impiegare la MOP ha una chiara valenza simbolica e strategica: dimostrare che gli Stati Uniti sono in grado di neutralizzare con mezzi convenzionali ciò che fino a pochi anni fa poteva essere colpito solo con armi nucleari tattiche.
La macchina da guerra che ha sorretto l’operazione
Il raid ha richiesto un coordinamento complesso e multilivello. Oltre ai bombardieri B‑2, hanno operato velivoli da guerra elettronica EA‑18G Growler, droni da sorveglianza RQ‑170 Sentinel, aerei radar E‑3 Sentry AWACS e piattaforme di intelligence elettronica RC‑135 Rivet Joint. La copertura logistica è stata garantita da una flotta di aerocisterne e da un dispositivo navale integrato, che includeva sottomarini, cacciatorpediniere Aegis e pattugliatori a lungo raggio. L’intero assetto era inserito in una rete di comando e controllo statunitense che ha utilizzato link satellitari sicuri e sistemi anti-jamming per garantire la comunicazione e la sincronizzazione delle fasi d’attacco.
Conseguenze operative e prospettive geopolitiche
Fonti militari statunitensi parlano di “danni strutturali estremi” ai tre obiettivi, in particolare a Fordow. Immagini satellitari confermano la presenza di collassi nelle cavità sotterranee, visibili anche dall’esterno attraverso fumi e detriti lungo le bocche d’aerazione. Tuttavia, il governo iraniano minimizza l’impatto, parlando di “danni marginali e ripristinabili”.
L’attacco ha scatenato una raffica di reazioni diplomatiche. Teheran ha promesso una risposta “asimmetrica e a tempo debito”, lasciando intendere che l’Iran potrebbe colpire interessi americani attraverso milizie regionali o attacchi cibernetici.
L’Operazione Midnight Hammer ha confermato che gli Stati Uniti, sotto la presidenza Trump, sono pronti ad esercitare la supremazia convenzionale strategica anche in contesti ad alta densità difensiva. La combinazione tra precisione chirurgica, tecnologia stealth e capacità di proiezione globale ha reso possibile ciò che, fino a pochi anni fa, sembrava irrealizzabile: colpire e danneggiare i bunker nucleari dell’Iran nel cuore del suo territorio, senza essere visti.