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Berlusconi e la visione geopolitica tradita: il Mediterraneo al centro del mondo

13 Giu 2025 - Italia

A un anno dalla morte di Silvio Berlusconi, lo ricordiamo non solo come leader nazionale ma come grande stratega globale: l’unico italiano che aveva compreso il ruolo chiave del Mediterraneo. Una visione che spaventò l’establishment progressista americano e che oggi il governo Meloni, con il Piano Mattei, tenta di rilanciare in un contesto ben più difficile.

Berlusconi e la visione geopolitica tradita: il Mediterraneo al centro del mondo

Un anno dopo: il ricordo di uno statista internazionale

Ricordiamo oggi, a un anno dalla sua scomparsa, Silvio Berlusconi come uno dei pochi leader italiani capaci di parlare da pari a pari con i grandi del mondo. Fu molto più di un presidente del Consiglio: fu un interprete autentico del ruolo che l’Italia avrebbe potuto giocare nel nuovo disordine globale. In un’epoca segnata da conformismo europeo e da obbedienza cieca agli schemi imposti dall’Occidente liberal-progressista, Berlusconi scelse un’altra via: la centralità italiana, la forza diplomatica, il Mediterraneo come orizzonte.

Una visione che andava oltre i confini nazionali

La grandezza di Berlusconi non fu solo imprenditoriale o mediatica, ma profondamente geopolitica. Aveva una visione chiara: riportare l’Italia al centro delle dinamiche globali, a partire dal Mediterraneo, che egli vedeva non come periferia instabile, ma come cuore pulsante dei nuovi equilibri mondiali.

In un’Europa sempre più subalterna agli interessi franco-tedeschi, e in un Occidente sempre più chiuso nei suoi paradigmi postmoderni, Berlusconi fu l’unico a parlare con Putin, Gheddafi, Erdogan e Bush con lo stesso linguaggio: quello del rispetto, della realpolitik e degli interessi reciproci. Non si trattava di equidistanza, ma di centralità italiana.

Il Mediterraneo come cerniera fra Europa, Africa e Asia

Berlusconi capì, prima di molti altri, che la partita del XXI secolo si sarebbe giocata nel Mediterraneo. Non solo come rotta energetica e commerciale, ma come area simbolica dove il mondo occidentale avrebbe deciso se aprirsi o implodere. Propose accordi con la Libia ben prima che il caos la travolgesse, lavorò per un’alleanza tra Europa e Russia, e cercò di fare dell’Italia un ponte stabile con l’Africa.

È in quest’ottica che va letta la straordinaria rete diplomatica che costruì negli anni 2000: i summit con Putin e Gheddafi, l’intermediazione nei dossier mediorientali, i rapporti personali con George W. Bush e con gli alleati israeliani. Berlusconi sapeva che un’Italia forte, autonoma e strategica avrebbe beneficiato non solo il Paese ma anche l’equilibrio globale.

2011: il colpo di mano che lo fece cadere

Quella visione però faceva paura. Faceva paura a chi, a Washington, vedeva con fastidio ogni leadership europea non allineata al verbo liberal-progressista. Nel 2011, con la scusa dello spread e la complicità di poteri interni, Berlusconi fu abbattuto da un golpe bianco ben orchestrato, proprio mentre si opponeva all’intervento militare in Libia.

La guerra in Libia fu la prova del nove. L’Italia di Berlusconi voleva consolidare un asse energetico e diplomatico con Tripoli, mentre l’amministrazione Obama-Clinton voleva ridisegnare gli equilibri dell’area a suon di bombe e “primavere arabe”. Berlusconi non si piegò. E pagò.

Il Piano Mattei: il governo Meloni riprende il testimone

Oggi, il governo guidato da Giorgia Meloni sta cercando di raccogliere quel testimone attraverso il Piano Mattei per l’Africa. Un progetto ambizioso che si muove nel solco della visione berlusconiana, restituendo all’Italia un ruolo di ponte strategico tra Europa e Sud globale. Ma farlo oggi è molto più complesso.

La situazione internazionale è radicalmente peggiorata: guerre diffuse, instabilità cronica in Nord Africa e Medio Oriente, pressioni migratorie senza precedenti, e una nuova Guerra Fredda tra blocchi contrapposti rendono più arduo l’obiettivo. A differenza di Berlusconi, Meloni deve muoversi in un contesto in cui l’autonomia strategica viene spesso vista con sospetto anche all’interno dell’Unione Europea. E in cui ogni tentativo di dialogo multilaterale rischia di essere distorto da letture ideologiche o da veti incrociati.

Le contraddizioni della sua politica interna

Tuttavia, se la statura internazionale di Berlusconi merita oggi una rivalutazione storica, non si possono ignorare le ombre che la sua figura ha proiettato sulla politica interna. I suoi gravi conflitti d’interesse, mai veramente risolti, hanno inciso sulla qualità del dibattito democratico italiano, alimentando una commistione tra affari, media e politica che ha lasciato un segno profondo.

Il mondo raccontato da Mediaset – la sua creatura più influente – ha contribuito a spingere l’Italia verso un immaginario fatto di gossip, spettacolarizzazione e frivolezza, indebolendo la cultura civica e abbassando l’asticella del confronto pubblico. Inoltre, la sua “destra” non fu mai quella della tradizione nazionale incarnata da uomini come Giorgio Almirante. La destra berlusconiana era liberista, pop, postmoderna, più affine alla comunicazione commerciale che alla visione identitaria. Eppure, fu lui a sdoganare quella parte politica, aprendo il cammino che ha portato oggi a un governo guidato da Fratelli d’Italia, erede diretto dell’MSI. Ma fu un passaggio più pragmatico che culturale.

Un’eredità da difendere con coraggio

A distanza di anni, il quadro è chiaro. L’Italia non deve tornare irrilevante nel Mediterraneo anche se la Libia è un teatro caotico sotto influenza turca e russa, e l’Europa è sempre più succube di logiche estranee ai suoi interessi vitali. In questo scenario, l’unico modo serio per onorare la memoria di Silvio Berlusconi è rafforzare la visione di politica internazionale che aveva costruito.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Articolo scritto da:
Antonio Antipari

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