Afrikaner, i dimenticati del Sudafrica
22 Mag 2025 - Approfondimenti Politici
Discendenti dei pionieri europei, oggi vivono nella paura, tra espropri, violenza e silenzi internazionali. Una minoranza che lotta per sopravvivere.

Un popolo radicato nella terra africana
Gli Afrikaner sono i discendenti dei coloni olandesi, francesi ugonotti e tedeschi che si stabilirono nel sud dell’Africa a partire dal XVII secolo. Parlano l’afrikaans, una lingua derivata dall’olandese antico, e per secoli hanno costruito la loro identità intorno a valori quali la fede calvinista, il lavoro rurale, la difesa della propria comunità e la conoscenza profonda della terra.
Pur essendo oggi una minoranza numerica – circa il 5% della popolazione sudafricana – rappresentano uno dei gruppi storici fondatori del Sudafrica moderno, e il loro contributo all’agricoltura, alla cultura, all’economia e all’identità del Paese è innegabile.
Dalla fine dell’apartheid alla nuova emarginazione
Con la fine dell’apartheid nel 1994, il Sudafrica ha vissuto una necessaria e profonda trasformazione, ma ciò ha avuto anche conseguenze drammatiche per la minoranza bianca, in particolare per gli Afrikaner delle zone rurali. Molti di loro, legati all’agricoltura, sono stati colpiti da politiche aggressive di redistribuzione della terra, dalla violenza criminale diffusa nelle campagne e da un clima politico e mediatico spesso ostile.
In particolare, le “farm attacks” – attacchi alle fattorie spesso con modalità brutali – hanno colpito centinaia di famiglie afrikaner, causando morti, traumi e un senso diffuso di abbandono. Le autorità sudafricane tendono a trattare questi attacchi come semplici episodi di criminalità, ma molte associazioni denunciano una matrice ideologica e razziale: i bersagli sono spesso selezionati per il colore della pelle e la visibilità economica.
Espropri e minacce: la battaglia per la terra
Uno dei temi più controversi è quello dell’esproprio senza indennizzo, promosso da frange della politica radicale sudafricana, come gli Economic Freedom Fighters di Julius Malema. La proposta di togliere la terra ai bianchi – in particolare agli Afrikaner – ha riaperto vecchie ferite e generato un clima di paura e incertezza.
Molti agricoltori vivono nell’incubo di perdere le terre coltivate da generazioni. Lungi dall’essere latifondisti privilegiati, la maggior parte di loro è composta da famiglie di classe media o povera, spesso senza alcun paracadute sociale. In centinaia vivono oggi in baraccopoli, senza accesso a cure mediche o istruzione, ignorati dai media internazionali che preferiscono raccontare un Sudafrica “arcobaleno” che nella realtà non esiste.
La diaspora silenziosa
Di fronte a una situazione sempre più difficile, molti Afrikaner stanno lasciando il Paese. Australia, Canada, Stati Uniti, ma anche Russia e Ungheria: sono alcune delle mete verso cui questa diaspora cerca rifugio. Alcuni Stati, come l’Australia e di recente gli Stati Uniti di Donald Trump, hanno proposto corridoi preferenziali per rifugiati afrikaner, riconoscendo – almeno a parole – la loro condizione di minoranza perseguitata.
Ma per ogni famiglia che riesce a fuggire, ce ne sono centinaia che restano, cercando di sopravvivere tra minacce, povertà e indifferenza. Eppure, continuano a difendere la loro lingua, la loro fede, la loro identità.
Un appello all’Occidente: basta silenzio
Se questa situazione riguardasse un’altra minoranza etnica, in un altro contesto, le grida dell’ONU e delle ONG risuonerebbero ovunque. Ma trattandosi di una comunità bianca e cristiana, spesso la narrazione dominante preferisce tacere o ridurre tutto a una questione di “vendetta storica”.
Questa doppia morale è inaccettabile. Nessun popolo merita di vivere sotto la minaccia costante dell’odio, nessuna comunità dovrebbe essere condannata all’estinzione per motivi ideologici o razziali. Gli Afrikaner meritano rispetto, protezione, ascolto.
Tra resistenza e speranza
Gli Afrikaner non chiedono privilegi, ma diritti. Non chiedono vendette, ma giustizia. Non chiedono di dominare, ma di sopravvivere. Sono un popolo antico, orgoglioso, colpito ma non piegato. In un’epoca in cui si parla tanto di inclusività e rispetto delle minoranze, è tempo che anche la loro voce venga ascoltata.
È tempo che l’Occidente apra gli occhi e riconosca quello che, per molti, è già un lento genocidio culturale, economico e – troppo spesso – fisico.